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mercoledì, 28 Maggio, 2025
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Se Dante avesse visto l’inferno della Striscia

Un esercizio di immaginazione morale, tra Inferno dantesco e Gehinom ebraico, per riflettere sul senso della colpa, della punizione e della responsabilità collettiva davanti alla barbarie.

Così come padre Dante collocò molti dei suoi contemporanei nell’Inferno, anch’io immagino di mettere tra le anime dannate lo sterminatore di Gaza, Benjamin Netanyahu. Nella religione ebraica, infatti, non esiste un luogo post mortem dove essere retribuiti per quanto fatto in vita per l’eternità. L’anima del giusto, lasciato il corpo, si eleva alla fonte divina, unendosi agli avi che l’hanno preceduta. E qui c’è da chiedersi, senza alcun pregiudizio, che cosa stiano pensando i suoi antenati di ciò che Netanyahu sta compiendo in terra.

Tuttavia, nella tradizione ebraica esiste il Gehinom, una sorta di fucina spirituale, un luogo di purificazione temporanea dove l’anima si prepara all’ascesa finale verso il Gan Eden, il Giardino dell’Eden.

Volendo però assumere la visione tutta cristiana della retribuzione ultraterrena, occorre replicare all’inverso il peso della colpa, commisurando il dolore inflitto al dolore vissuto. Immagino dunque Netanyahu condannato a vivere per l’eternità in una Gaza infernale, devastata dai suoi stessi bombardamenti: viene dilaniato da una bomba, si ricompone, muore di fame per sei mesi, poi tutto ricomincia. Non c’è pentimento, perché le anime malvagie restano tali, ma la coscienza di quanto fatto diventa un supplizio più forte del dolore fisico.

Dove collocarlo, allora, nel regno dantesco? Forse nel settimo cerchio, tra i violenti contro il prossimo, in compagnia dei tiranni immersi nel sangue bollente del Flegetonte, colpiti dalle frecce dei Centauri.

Anche nel mondo pagano, tra Egizi e Greci, le punizioni ultraterrene abbondano. Da Tantalo, condannato alla fame e alla sete per aver servito il figlio come pasto agli dèi, alla pesatura dell’anima del dio Thot, dove il cuore del defunto più pesante della piuma viene divorato da Ammit, mostro ibrido composto da coccodrillo, leone e ippopotamo.

Ma, come Dante stesso avrebbe forse osservato, questo supplizio non riguarda solo un singolo uomo. È destinato anche a coloro che lo hanno sostenuto, che non hanno frenato la violenza, anzi, l’hanno giustificata in nome di una salvezza che va ben oltre le obiettive ragioni di difesa o conservazione del potere.

Fatto questo esercizio di immaginazione, è tempo della ragione. Per capire come, ancora oggi, l’uomo possa superare i limiti della convivenza civile, spingendosi verso l’abisso dell’annientamento dell’altro. La barbarie uccide prima l’anima e poi il corpo. Solo gli uomini giusti sanno sopportare il peso della pace.