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venerdì, 8 Agosto, 2025
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Solo l’Occidente conosce la Storia? Allora non dimentichi il Medioevo

Per gentile concessione del direttore dell’Osservatore Romano, riproponiamo l’articolo a firma di Franco Cardini - “Collocare il (bistrattato) Medioevo nella giusta prospettiva” - apparso il 31 luglio sul quotidiano vaticano.

La discussione suscitata dal documento dedicato alla storia da parte del Ministero dell’Istruzione e del Merito, che si apre con una frase tanto perentoria quanto impegnativa («Solo l’Occidente conosce la Storia»), ha suscitato a vari livelli un dibattito molto significativo. Fra gli altri argomenti proposti, è apparso singolare come l’età medievale, tanto presente nella memoria comunitaria (basti pensare a Dante) nonché nel paesaggio soprattutto urbano e nelle arti del nostro paese, sia relegata alla fine del V anno del ciclo della scuola primaria riguardo al periodo intercorso tra le fine dell’impero romano d’Occidente e l’espansione islamica (secc. VII-IX), mentre l’intensa fase socioculturale compresa tra l’esperienza di Carlomagno e l’alba della Modernità con l’Umanesimo e il Rinascimento venga compressa nella prima metà del primo anno della scuola secondaria.

Tra le ragioni delle perplessità con le quali la proposta ministeriale è stata accolta, astraendo qui da altri aspetti e momenti della storia nel suo complesso, sembra opportuno sottolineare il trattamento riservato al medioevo sia per la sua eccessiva compendiosità, sia per l’inadeguatezza del rapporto che questa fretta e questa superficialità provoca rispetto a due argomenti di fondo: propriamente storico il primo, socioculturale e connesso con il nostro vivo presente il secondo.

Primo: la centralità del periodo che convenzionalmente (e ormai fino dal Tre-Quattrocento) viene indicato con il termine “medioevo” proprio nella costruzione di quella coscienza identitaria occidentale e in particolar modo italiana che sta esplicitamente tanto a cuore agli estensori del progetto ministeriale. Mentre è molto discutibile che “solo” l’Occidente abbia “conosciuto” (sic) la storia, è fuor di dubbio che il medioevo come età di transizione tra Antichità e Modernità è stato proposto come dimensione originale e specifico nel corso di un lungo e intenso dibattito che in Europa ha attraversato i secoli: dall’avversione umanistica alla svalutazione illuministica alla rivendicazione a tratti perfino apologetica del Romanticismo. Una maggior attenzione per il medioevo — i cui caratteri originali sono talora serviti ai nostri studiosi anche per indicare, ma solo in senso traslato, momenti e caratteri salienti di culture “altre” (un “medioevo” ellenico, o “giapponese”, o “etiopico”) — sarà necessaria ai nostri ragazzi proprio per meglio comprendere quel che della cultura occidentale è specifico rispetto alle altre (a cominciare dal ruolo centrale del cristianesimo latino) e al tempo stesso la portata della Modernità come vera e propria rivoluzione rispetto alle epoche precedenti.

Secondo: e qui è necessario guardarsi attorno, specie nelle culture giovanili. Sia revival di un fenomeno già accaduto (ad esempio ai primi dell’Ottocento), sia effetto di premesse e di condizioni del tutto nuove, oggi — mentre l’insegnamento scolastico e universitario è in grave crisi e la lettura della carta stampata precipita — il medioevo impazza: sul grande e sul piccolo schermo, nei war games e nei “giochi di ruolo”, nelle varie forme di letteratura narrativa comprese fantastoria e fumettistica, nelle feste e nelle saghe cittadine con momenti di speciale intensità come il Calendimaggio d’Assisi e la Settimana Medievale di Gubbio che attraggono addirittura masse di partecipanti con immediate ripercussioni anche sulla vita economica (il turismo, la ristorazione, le molte forme di proposte nello spettacolo, l’inattesa e insospettata nascita di vari tipi di produzione artigiana), la nascita o la rinascita di sodalizi che hanno fatto riscoprire soprattutto alle giovani generazioni la gioia del vivere e soprattutto di giocare insieme.

L’Ondata medievale, magari preceduta da più o meno visibili segni, investì l’Europa, gli Stati Uniti e anche altre parti del mondo (ad esempio l’Australia e l’America latina) già tra Anni Sessanta e Settanta, con l’”effetto Tolkien”: cioè con lo straordinario successo del romanzo forse definibile (ma sarebbe riduttivo…) come heroic fantasy del filologo e cattolico John Ronald Reuel Tolkien Il signore degli anelli. La grande saga dell’Anello Magico — si noti che Tolkien era filologo illustrissimo ed esponente degli Oxford Christian — conquistò ed esaltò specie i giovanissimi: e fece scalpore il paradosso della sua «appropriazione bipolare»: negli Stati Uniti essa diventò il vessillo della controcultura militante, mentre in Europa e in particolare in Italia venne accolta come Bibbia ispiratrice di una frangia ristretta ma culturalmente significativa di un’estrema destra dai caratteri giudicati come «reazionario-postmoderni». Seguì, nel 1980, Il nome della rosa di Umberto Eco, mentre il medioevo diveniva sempre più lo scenario storico o fantastorico di opere di successo e crescevano i fenomeni travolgenti dei libri di Ken Follett e di Dan Brown.

Era un medioevo rumoroso, spesso tra il goliardico e lo straccione, con indubbi caratteri “brancaleonici”: ma non va dimenticato che L’Armata Brancaleone di Monicelli, del resto un capolavoro nel suo genere, era nata come parodia del film Il settimo sigillo di Ingmar Bergman. In un primissimo tempo, il mondo della medievistica “seria”, quello degli studiosi e degli accademici, mostrò incuranza e disprezzo nei suoi confronti. Ma gradualmente alcuni studiosi cominciarono a domandarsi se non fosse il caso di reagire in modo concreto e significativo al fatto che le aule e gli istituti della medievistica ufficiale e scientifica si svuotavano mentre le strade e le piazze si riempivano di ragazzi che non avevano mai aperto un libro di Marc Bloch o di Jacques Le Goff mentre ammattivano dinanzi ai banali luoghi comuni o alle fiabe bislacche del Falso Medioevo. Non sarebbe stato il caso di raccogliere la sfida e provare a “insegnar giocando” e al tempo stesso “giocar insegnando”, cioè di “rifilologizzare il gioco del medioevo”?

Ci provò una rivista intelligente, i «Quaderni medievali» del compianto Giosuè Musca dell’università di Bari; e fece epoca, nel 1983, il convegno dedicato a Il sogno del medioevo egemonizzato — e da chi altri sennò? — da Umberto Eco.
Oggi, lo studio dei rapporti tra la scienza medievistica e il fenomeno sociologico-ludico del cosiddetto medievalismo è entrato nell’Università sotto gli occhi tutto sommato benevoli e divertiti di Alessandro Barbero e quelli più severi ma straordinariamente attenti di Giuseppe Sergi o riservati ma flessibili di Massimo Oldoni: e vi prendono parte come coprotagonisti studiosi giovani, qualcuno giovanissimo, che vanno da Tommaso di Carpegna Falconieri a Francesca Roversi Monaco a Umberto Longo, tanto per citare fra molti valenti ricercatori quelli che alle molte facce del medioevo stanno conferendo un sicuro statuto scientifico.