La questione posta ieri dalla direzione di questa testata, Il Domani d’Italia, circa le ripercussioni politiche del discorso di Mario Draghi del 22 agosto al Meeting di Rimini, merita di essere dibattuta perché implica temi cruciali per il futuro dell’Europa.
Se gli argomenti con cui l’ex presidente della Bce sferza l’Ue ad affrontare le sfide di un tempo nuovo, non producono ricadute politiche, rischiano di rimanere belle parole. Tale è il senso della nota della redazione di questo giornale.
Il seme di una visione che germoglia
In effetti, se non sembra appropriato parlare di un “partito di Draghi”, non si può non rilevare che un seguito trasversale, ben oltre la politica, nei luoghi del potere del Paese e degli altri partner comunitari, alle priorità indicate da Draghi, in questi anni si sia manifestato. Perché quando si getta il seme di un’idea (e magari lo si fa anche per un breve ma intenso periodo da presidente del Consiglio), di una visione delle cose adeguata ai tempi, è inevitabile che da qualche parte questo seme germogli e dia frutti.
Ciò è testimoniato, solo per citare qualche esempio, da nuovi criteri di gestione della finanza pubblica affermatisi negli anni Venti, sia a livello nazionale che comunitario; dalla riscoperta, rispetto a un passato anche recente, di un intervento dello Stato in economia nella giusta misura, per creare i presupposti, orientare e massimizzare lo sviluppo economico e sociale in precise direzioni e capace di reggere il confronto a livello internazionale; dal decollo di un grande progetto di cooperazione con l’Africa, il Piano Mattei, con enormi implicazioni geopolitiche e in un settore strategico come quello energetico.
Cose che ci dicono che un “partito di Draghi” c’è ed opera in modo concreto, andando a incidere in profondità, talvolta scontando anche una incredibile riluttanza di una politica senza basi, ridotta alla personalizzazione e al modello degli influencer dei social media, ad affrontare le questioni che davvero contano per il bene comune e per il futuro.
Una politica debole e insignificante
La controprova si ha nel fatto che una politica che si accomoda per tatticismo sulla scia prodotta da altri, su narrazioni estrinseche ad essa, che rinuncia a voler decidere in autonomia sui temi della guerra e della pace, delle politiche monetarie, di una distribuzione della ricchezza più equa fra i diversi ceti sociali, finisce con l’essere percepita come insignificante da una parte consistente di cittadini.
Draghi non perde occasione per ricordarci che il tempo delle decisioni per l’Europa non è illimitato e che rinviare queste decisioni oltre il tempo giusto in cui vanno prese potrebbe rivelarsi esiziale per l’Unione Europea. Ci indica i concreti rischi di ulteriore declino fino al punto di non ritorno della sua irreversibilità.
Parole, sì parole, pesanti però come le pietre. Parole che non possono che innescare un processo virtuoso di risveglio, di presa di coscienza della posta in gioco, di abbandono di un fatalistico atteggiamento di mera gestione del declino.
Una sfida per il popolarismo
In questa prospettiva, un “partito di Draghi” si può innescare nelle diverse piattaforme politiche senza bisogno che qualcuno dia il la che non sia la stessa forza dell’intelligenza delle cose, e nel caso della tradizione politica popolare, cattolico-sociale, l’esempio che ci viene da fasi del passato anche più critiche di quelle attuali, che videro i cattolici impegnati in politica capaci di dare un contributo decisivo e lungimirante a districare i nodi politici a loro contemporanei.
Perché non può esserci popolarismo senza un programma. Ciò che dice Draghi non è accademia ma appartiene all’ambito del “si può fare”.