Stiamo attraversando un passaggio storico in cui le certezze si sgretolano e le regole del vivere civile sembrano cedere il passo alla brutalità. In questo nuovo mondo che avanza, sempre più fragile e spietato, restano poche le parole capaci di tenere accesa la fiamma dell’umano: obbligo morale. Responsabilità. Dovere.
Di fronte allo sterminio silenzioso dei più innocenti, i bambini, tacere non è più un’opzione. È una colpa. “Perché quasi niente quanto la guerra, e niente quanto una guerra ingiusta, frantuma la dignità dell’uomo”, scriveva Oriana Fallaci. È in queste parole che ritroviamo oggi il senso più profondo del nostro tempo.
Le guerre non si combattono solo con le armi e le strategie, ma anche con l’indifferenza e la complicità muta di chi volta lo sguardo altrove. Ma qualcosa oggi si muove. Le donne, figure spesso relegate ai margini del potere, stanno diventando protagoniste di un nuovo linguaggio politico, più etico, più umano, più netto.
Da Melania Trump a Olena Zelenska, fino ad arrivare alla first lady turca Emine Erdogan, si assiste a un cambio di passo: le mogli dei Capi di Stato abbandonano i ruoli di mera rappresentanza e decidono di esporsi, di parlare, di chiedere giustizia.
L’appello di Emine Erdogan
La consorte del presidente turco ha preso ispirazione da un gesto precedente di Melania Trump in una lettera rivolta a Mosca, in cui si chiedeva attenzione per i bambini ucraini sottratti alle loro famiglie durante la guerra, per sollecitare una riflessione più ampia. In un passaggio chiave del suo messaggio ha voluto ricordare che la compassione non può essere selettiva, e che la sofferenza dei bambini palestinesi non è meno reale, meno atroce, meno meritevole di attenzione.
Con toni decisi ma rispettosi ha lanciato un appello alla sua omologa americana: se è stato giusto spendere parole di solidarietà per i piccoli ucraini, lo è altrettanto, anzi è un dovere morale alzare la voce per quei bambini di Gaza che da mesi non conoscono che morte, fame e paura.
Ha parlato come madre, come donna, come persona che non vuole più assistere in silenzio a una tragedia umana che colpisce i più vulnerabili. Il suo invito è stato chiaro: facciamo fronte comune, uniamo le nostre voci di donne e madri, e rivolgiamoci direttamente ai responsabili di questa carneficina. Non per accusare, ma per fermare. Per chiedere un gesto di umanità che metta fine a una crisi che ha già distrutto troppe vite e troppe coscienze.
Un dolore che chiede giustizia
In uno dei passaggi più toccanti del suo messaggio, Emine Erdogan ha evocato l’immagine terribile dei sudari con la scritta “bambino sconosciuto”. Parole che, da sole, raccontano una tragedia immensa, fatta di vite spezzate e identità cancellate. Ha descritto il dolore psicologico che sta segnando un’intera generazione: bambini che non sanno più sorridere, che chiedono la morte perché la vita, per loro, è diventata insopportabile.
Non si è limitata al dolore, però. Ha indicato una direzione, una speranza: quella di un risveglio della coscienza collettiva, di un’umanità che ritrovi il coraggio di riconoscere ciò che è giusto, e di agire. Anche sul piano politico. Perché, ha suggerito, è tempo che il mondo prenda una posizione chiara, anche sulla questione palestinese, e lo faccia non come concessione diplomatica, ma come atto di verità.
Il suo intervento è molto più di un gesto simbolico. È una chiamata alla responsabilità. È il tentativo di ridare peso e significato alla voce delle donne, trasformandola in strumento di pressione e cambiamento. È l’inizio di un linguaggio nuovo, che parla non di potere, ma di coscienza.
La forza della voce femminile
La guerra non ha paura dei proclami. Ma trema quando si ritrova di fronte a una voce chiara, determinata, che parla in nome della vita. E trema ancora di più quando quella voce è corale, femminile, unita.
Per questo serve oggi un fronte nuovo, fatto di donne di Stato, intellettuali, madri, educatrici, cittadine. Serve che quelle voci si alzino insieme, senza timori, per dire con forza che nessun bambino deve più morire sotto le bombe. Che nessuna infanzia deve essere cancellata per ragioni geopolitiche. Serve una vox iusta, una voce giusta. Perché quando le donne parlano insieme, davvero, la guerra trema.