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sabato, 27 Settembre, 2025
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Emanuele Franceschetti, a Roma reading di poesie a Casa Vuota

Roma, 27 set. (askanews) – La parola poetica incontra la pittura. Domenica 28 settembre 2025 alle ore 18 la poesia di Emanuele Franceschetti è protagonista a Casa Vuota, lo spazio espositivo del quartiere Quadraro in via Maia 12 a Roma, in occasione del finissage della mostra Sbocco di Andrea Rupolo, curata da Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo (per informazioni 3928918793 – vuotacasa@gmal.com). La pittura gestuale e carnale di Rupolo si confronta con le parole di Franceschetti, che propone al pubblico una lettura poetica di testi editi e inediti.

Emanuele Franceschetti (1990) è musicologo e poeta, e insegna Storia della Musica in Conservatorio. Si è addottorato in musicologia all’Università “La Sapienza” di Roma e ha vinto una borsa di studio trimestrale alla Paul Sacher Stiftung di Basilea. Si è occupato di attività divulgativa collaborando – tra gli altri – col Teatro dell’Opera di Roma e con l’Associazione “Lingotto Musica” di Torino, e ha collaborato con l’Enciclopedia della Musica Treccani. Tra le sue aree di ricerca e pubblicazione: la drammaturgia musicale nel Novecento italiano, gli studi su musica e poesia, i rapporti tra musica e critica musicale, la poesia italiana contemporanea. Ha curato, con Alessandro Avallone, la miscellanea di saggi Poesia e musiche. Convergenze e conflitti in Italia dal 1940 ad oggi (Lim, Lucca, 2023) e, con Italo Testa e Stefano Salvi, il XXVI numero de «L’Ulisse. Rivista di poesia, arti e scritture». Le sue ultime pubblicazioni poetiche sono Testimoni (premio Subiaco, secondo classificato premio Tirinnanzi, Premio Valéry, già incluso nel XV quaderno di poesia contemporanea e ripubblicato nel 2022, per Nino Aragno Editore) e la plaquette Diabàllo (Edizioni Volatili, 2023). È stato incluso nella rubrica “I poeti di trent’anni”, curata da Milo De Angelis sulla rivista «Poesia» edita da Crocetti.

Suoi testi e contributi sono apparsi anche su «Le Parole e le Cose», «Nuovi Argomenti», «Nazione Indiana», «Gradiva», «La Balena Bianca», «L’Ulisse». È presente in diverse antologie e miscellanee. Collabora col “CentroScritture” di Roma e col “Centro Studi Luciano Berio”.

LA MOSTRA DI ANDREA RUPOLO – I gesti pittorici ampi e ariosi di Andrea Rupolo (2002) riempiono le stanze di Casa Vuota, per un progetto installativo site-specific. Sono oli e tecniche miste di grandi dimensioni, caratterizzati da una pittura istintiva, informale e con una vaga reminiscenza di anatomie e macellazioni. Sperimentando le tecniche della grafica d’arte, Rupolo porta in mostra anche un dittico di collografie su tessuto. I segni dell’artista si rispecchiano e si confrontano con i segni impressi sulla pelle della casa, con la mappa di storie e di memorie che costella le superfici del suo ventre e che testimonia la vita che si è consumata al suo interno. Il focus della ricerca di Andrea Rupolo è il corpo scandagliato dall’interno, che l’artista comunica con crudezza, violenza e uno sguardo deformante. «Cerco di capire – spiega l’artista – in che modo l’identità possa modellare la carne; perciò mostro una materia cruda, deforme e imparziale, che non appartiene a nessuno e diventa superfice disidentificata, portandola al limite della morte». La ricerca del colore e la frenesia dell’enunciato pittorico hanno bisogno di spazi ampi per esprimersi, misurati dal ritmo del gesto.

‘Tutto – prosegue l’artista – è costruito su un movimento costante, il movimento della materia che cambia la sua forma e il suo spazio’. Quella che Rupolo sfida è ‘una carne che non appartiene a nessuno’, carne viva che la pittura porta al limite, in ‘uno spazio che cambia la percezione della propria misura’ e attraverso ‘un colore che si costruisce di conseguenza’. Un modo di mettersi dentro l’esperienza del corpo, per arrivare a definire un’identità: è ‘la bozza – nelle intenzioni di Rupolo – di un sistema che possa raccogliere la forma della soggettività nomade, distaccata dalle conseguenze esterne e costruita sulla persona’.

‘Andrea Rupolo si esercita in una pittura informale che ha in sé la memoria del corpo. Non c’è luogo più adatto all’osservazione del corpo dello spazio domestico e, in questo corpo-casa, la giovane pittura di Rupolo è come un fiume in piena in cerca di uno sbocco’, scrivono i curatori Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo. ‘Materia che si ammassa ed esplode, dietro la spinta di altra materia. Tutta l’urgenza dei vent’anni, la ricerca di un proprio segno e di una propria voce nella pratica pittorica e la riflessione su alcuni temi fondanti della dimensione etica e dell’esperienza estetica del presente (come il corpo e la carne, l’umano e il postumano, il bello e il mostruoso, la superficie e la profondità, il dentro e il fuori, il transeunte e la memoria) si trasferiscono in questa prima restituzione di un itinerario artistico ancora tutto da tracciare e da scoprire, ma che già affascina per la sua vigoria. La pittura di Rupolo parla di masse e materia in movimento, in trasformazione. Con la sua qualità liquida e gestuale, cattura frame di pulsazioni di organi, tessuti, muscoli e parti di corpo’.

Proseguono Del Re e de Nichilo: ‘In un orizzonte tecnologico che vede tutto l’universo racchiuso nel piccolo schermo di uno smartphone, la ricerca di Andrea Rupolo ha uno slancio potente e antinarrativo che si esprime nell’immaginare opere di grandi dimensioni. Si trova a suo agio nell’affrontare spazi ampi, sempre più ambiziosi, dove si affacciano insorgenze pittoriche libere da qualunque necessità di rappresentazione, tra orografia e stratificazione. Questi agitati fraseggi, che appaiono a volte ventosi nell’emersione dei fondi più chiari e a volte marezzati da un sapiente uso di cromie sia concilianti sia dissonanti, sono affidati spesso a tessuti e teli che non hanno bisogno di essere rinchiusi nell’armatura di un telaio, ma che vengono lasciati liberi di cadere lungo i muri o di impossessarsi degli ambienti di Casa Vuota, facendosi soglie, sipari e membrane da toccare e attraversare’.

‘Basta pochissimo per cambiare la percezione dello spazio – annotano i curatori – e la pittura installativa di Andrea Rupolo diventa elemento di riconfigurazione dei volumi; ammorbidisce le geometrie e altera l’esperienza dell’abitare comune che si esercita nei rituali di una mostra. Ciò che si mostra diventa tanto importante, quanto lo è ciò che non si vede, ciò che resta precluso alla conoscenza e alla comprensione. Allo stesso modo i segni e le tracce che Casa Vuota già possiede, per l’azione delle vite che l’hanno occupata nella sua privatezza o delle mostre che si sono succedute nella sua funzione espositiva, costituiscono un repertorio fossile, visibile o nascosto, che amplia e potenzia la voce dell’artista. Sì accendendo così, per il visitatore, occasioni di stupori e assonanze, vertigini e reminiscenze, tra i pieni della pennellata, le cicatrici della tela e le trasparenze’.

‘La carne si manifesta, superficie nuova tutta da mappare. A ogni corpo corrisponde una pelle’, concludono Del Re e de Nichilo. ‘Con l’intervento di Rupolo, la casa ha una seconda pelle da sfogliare brano a brano, tra le spire di un grande rettile acquattato in procinto di fare la muta. È una rapsodia di sudari, su cui restano impresse le detumescenze dello sforzo, lo spasmo dei muscoli, la vivisezione di una selvatica vitalità. Non può non esserci però, negli occhi di chi guarda, l’eco di qualcos’altro. La corporalità è un pretesto per l’artista, lo spunto di un’improvvisazione che si apre a rivelazioni impreviste. Il corpo si fa paesaggio, mappa di esperienza. Nel gesto nevrotico della pittura, si affastellano i segni di Guerniche contemporanee, le scorie degli orrori di un’umanità smemorata e impotente, rispecchiando la guerra di sé contro il mondo, conforme a questo presente gramo. Ma cercare un racconto è impresa vana, è come interrogare le stelle o tentare di interpretare le aruspicine di una ferita sublimata nello sfogo del corpo, nella sua purga, nel suo sfiatatoio. Refrattario alla ricerca di un significato, Rupolo si concentra sul gesto, sulla sua prestazione quasi agonistica e titaneggia, sfida il tempo e le sue storture, ambisce a scardinare il corpo, a conquistare il cielo. Solo i pazzi o i veggenti osano tanto. E i suoi vent’anni sono la freccia più preziosa del suo arco’.