C’è una frase, nell’ultimo libro di Giuliano Da Empoli, L’ora dei predatori, che andrebbe sottolineata con la matita rossa: “La forza del populismo è la velocità (mentre) la democrazia è lenta per definizione”.
Questa frase può essere presa come un destino oppure potrebbe essere interpretata come uno sprone. Tutto sta nel decidere se si vuole accarezzare il populismo per il verso del pelo, salendo a bordo di quello che si considera ormai il carro del vincitore o se, invece, si vuole dare ancora una chance alla liberaldemocrazia, pur con tutti i suoi difetti e le sue esitazioni.
Il punto è che, quando si sale a bordo di una vettura altrui, difficilmente si riesce poi a guidarla verso il proprio traguardo perché si finisce per essere ospiti, sopportati con una sorta di degnazione.
L’argomento riguarda tutte e due le coalizioni dei nostri giorni, laddove populisti e antipopulisti convivono con una reciproca difficoltà. Proprio per questo tutte e due le coalizioni dovrebbero prima o poi fare i conti con questa contraddizione che ne snatura il profilo e non promette nulla di buono a lungo andare né agli uni né agli altri.
Tanto più dovrebbe pensarci il Pd che è nato da un tentativo di fusione tra le grandi, controverse tradizioni della prima repubblica e, proprio per questo, dovrebbe essere quanto di più lontano dalle sirene del populismo. Quelle sirene a cui né De Gasperi né Togliatti, pur tra le loro abissali differenze, hanno mai prestato ascolto, a costo di procedere con quella lenta ponderazione che consente di riflettere e magari anche di convincere.