Roma, 6 ott. (askanews) – È durato meno di 24 ore il governo del premier francese Sebastien Lecornu: l’ex ministro della Difesa ha infatti rassegnato questa mattina le proprie dimissioni vista l’impossibilità di esercitare la propria carica di fronte ad un’Assemblea Nazionale già pronta ad esercitare un’immediata mozione di censura, lasciando il presidente Emmanuel Macron solo di fronte ad una crisi semrpe più comlicata da gestire.
Un esecutivo quindi che seppure mai arrivato in aula ha visto la sua composizione pubblicata sulla gazzetta ufficiale e che dunque è quello che dovrà gestire il disbrigo degli affari correnti e il passaggio dei poteri al prossimo governo, che sia di nomina presidenziale o frutto di un passaggio alle urne.
L’ultradestra del Rassemblement National di Jordan Bardella e Marine le Pen ha infatti già chiesto di tornare al voto, unica ricetta possibile per dare “stabilità” al Paese; di segno opposto l’appello dei Republicains (LR), che hanno invece invitato Macron, deciso a portare a termine il suo mandato, a “governare”.
La sinistra da parte sua ha assunto una posizione attendista: il partito Socialista ha auspicato la nomina di un suo esponente alla guida del governo come unica possibile saldatura parlamentare, mentre la France Insoumise di Jean-Luc Melenchon ha proposto un incontro in serata per discutere “tutte le ipotesi sul tavolo”.
La formula di compromesso di Lecornu è naufragata prima ancora di salpare sullo scoglio dell’articolo 49.3 della Costituzione, che permette all’esecutivo di approvare una legge di bilancio senza voto parlamentare – salvo, appunto, la presentazione entro le 24 ore di una mozione di sfiducia che sarebbe senz’altro arrivata tanto da destra che da sinistra, con ottime probabilità di successo visto che i socialisti, ad esempio, volevano a tutti i costi un dibattito almeno sula riforma delle pensioni. In un breve discorso dal palazzo di Matignon Lecornu ha quindi deplorato l’esistenza di una “censura preventiva” che di fatto gli ha reso impossibile esercitare le sue funzioni; ma il premier dimissionario ha criticato anche l’atteggiamento di partiti “che si comportano come se avessero tutti la maggioranza assoluta, pretendendo di far realizzare tutto il loro programma”, quando non di “pensare alle prossime imminenti elezioni presidenziali” e quindi ai propri elettori piuttosto “che ai cittadini francesi”.
Una stoccata indirizzata soprattutto ai Republicains, che pretendevano un terzo dei dicasteri del nuovo esecutivo ed avevano minacciato già ieri di uscire dalla coalizione malgrado la conferma di Bruno Retaillau agli interni.
Ora l’iniziativa – e la parola – passano di nuovo all’Eliseo, che al momento si è limitato ad un laconico comunicato in cui rendeva noto di aver accettato le dimissioni di Lecornu; Macron dovrà quindi decidere se provare di nuovo a lanciare un candidato in grado di trovare un compromesso – e in questo caso, se giocare o meno la carta della coabitazione con la sinistra – o cedere alle richieste di tornare alle urne, con il rischio di vedere premiata l’ultardestra.
Il suo ultimo tentativo passerà agli archivi come il più breve della storia della Repubblica – 14 ore e due minuti dalla nomina dei ministri, contro i due giorni di Henri Queille nel 1950 – e l’unico a non aver mai celebrato un Consiglio dei Ministri, fissato per le 13 di oggi e forzatamente annullato.