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giovedì, 9 Ottobre, 2025
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Le insidie del prossimo round negoziale sul piano Trump per Gaza

Roma, 9 ott. (askanews) – “Il prossimo round di negoziati sarà molto complicato”, ha ammesso una fonte vicina ai negoziatori palestinesi dopo l’intesa raggiunta sulla prima fase del piano di pace del presidente americano Donald Trump, che prevede un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e lo scambio di prigionieri tra Israele e Hamas. Gli altri punti del piano comprendono il disarmo di Hamas e degli altri gruppi armati palestinesi e la completa smilitarizzazione della Striscia di Gaza, da affidare in via temporanea a un comitato tecnico palestinese, monitorato da un “Consiglio di pace” internazionale, in attesa che subentri l’Autorità nazionale palestinese (AnP) una volta che avrà completato il processo di riforme richiesto dalla comunità internazionale.

Nella risposta inviata la scorsa settimana al piano di Trump, Hamas ha affermato di avere il mandato solo per stipulare un accordo su questioni direttamente legate alla guerra a Gaza, sottolineando che le altre questioni richiederanno il coinvolgimento di tutte le fazioni palestinesi. Parlando al sito americano Drop Site, una figura di spicco di Hamas, Mousa Abu Marzouk, e altre fonti che hanno preferito l’anonimato hanno ammesso di aver accettato perché “non c’è nessun altro accordo” possibile per mettere fine al conflitto a Gaza e che il gruppo ha deciso di correre il rischio che Israele torni a violare il cessate il fuoco “fidandosi del presidente Trump come garante degli impegni presi”.

Il calcolo interno tra i principali negoziatori, ha spiegato poi la fonte al corrente del negoziato, è stato che “l’analisi costi-benefici favoriva l’accettazione”, sottolineando al contempo che “i prossimi negoziati devono essere condotti in modo molto intelligente”.

Se verrà attuata la prima fase, il piano prevede il ritiro delle Forze di difesa israeliane (Idf) da Gaza, il disarmo di Hamas e la smilitarizzazione di Gaza, il dispiegamento di una Forza internazionale di stabilizzazione, una nuova forma di governance, riconoscendo al contempo la necessità di “un percorso credibile verso l’autodeterminazione e la statualità palestinese”. Un principio che si scontra direttamente con il rifiuto israeliano di uno Stato palestinese.

DISARMO DI HAMAS E RITIRO DI ISRAELE DA GAZA Stando all’analisi realizzata dallo European Council of Foreign Relations (Ecfr), il piano di Trump modificato su richiesta di Israele prevede che “tutte le infrastrutture militari, terroristiche e offensive, inclusi tunnel e impianti di produzione di armi, saranno distrutte e non ricostruite”. Tale formulazione equivale a “una resa completa per Hamas”, e se anche la leadership del gruppo accettasse, “molti dei suoi combattenti probabilmente rifiuterebbero di consegnare le armi e potrebbero disertare verso gruppi più intransigenti, meno propensi ad arrendersi (come la Jihad Islamica, i Comitati di Resistenza Popolare o le Brigate Mujaheddin)”.

Secondo gli analisti dell’Ecfr, per convincere Hamas a disarmarsi servirà quindi l’impegno israeliano a ritirarsi completamente da Gaza e ad avviare negoziati di pace israelo-palestinesi, mentre l’attuale piano di Trump prevede che Israele mantenga una “zona cuscinetto di sicurezza” che comprende oltre il 17% del territorio dell’enclave fino a quando “non sarà adeguatamente protetto da qualsiasi minaccia terroristica risorgente”. Una formulazione che lascia ampio margine di manovra a Israele.

FORZA INTERNAZIONALE DI STABILIZZAZIONE Il dispiegamento di questa Forza “sarà fondamentale per la smilitarizzazione di Gaza e il completo ritiro di Israele”, ma dovrebbe avere un mandato “chiaramente definito e concordato”, eliminandone il ruolo “al monitoraggio e alla risoluzione del conflitto”. Questa forza internazionale dovrebbe avere anche il ruolo di addestrare un nuovo corpo di polizia palestinese che gestisca la sicurezza. Al momento, però, non è ancora chiara la composizione di questa nuova forza. L’Anp premerà probabilmente per riattivare e incorporare quello che resta delle proprie forze di sicurezza insieme ai 5.000 poliziotti addestrati in Egitto e Giordania, hanno sottolineato gli analisti. Da parte sua, Israele potrebbe anche spingere per includere membri di gruppi sostenuti in funzione anti-Hamas, come la milizia di Abu Shabab. E “a fronte della realtà sul campo e della necessità di ottenere il consenso di Hamas, probabilmente dovrà incorporare molti dei circa 15.000 membri delle attuali forze di polizia di Gaza”. Gli analisti ricordano che non sono membri di Hamas e che erano stati precedentemente autorizzati da Israele nell’ambito di un accordo di cessate il fuoco del 2018. “La loro completa smobilitazione rischierebbe di far deragliare qualsiasi processo di stabilizzazione post-conflitto”, hanno ammonito.

LA GOVERNANCE DI GAZA Il piano di Trump prevede un primo livello, locale, formato da un comitato di transizione tecnico e apolitico, responsabile “della gestione quotidiana dei servizi pubblici e delle amministrazioni comunali per la popolazione di Gaza”, composto sia da palestinesi che da esperti stranieri. Sia Hamas che l’Anp chiedono che questo comitato abbia potere decisionale, anche nella definizione del modello di ricostruzione di Gaza. Il secondo livello è il Consiglio di Pace, guidato da Trump e dall’ex primo ministro britannico Tony Blair. Hamas ha già fatto sapere che Blair è “una figura sgradita nel contesto palestinese”, ma di fatto non è ancora chiaro quale sarà il mandato e la portata di questo Consiglio.

Secondo gli analisti, questo Consiglio “potrebbe agire come governo di fatto, con ampi poteri sulle questioni umanitarie, economiche, legislative, di sicurezza e di ricostruzione di Gaza” e questo potrebbe portarlo “a nominare giudici, licenziare i membri del comitato amministrativo, così come a controllare le risorse naturali di Gaza, tra cui il suo giacimento di gas offshore, e distribuire terreni senza alcuna reale responsabilità o supervisione”. Frizioni tra i due livelli di governance, insieme “alle richieste palestinesi di decidere autonomamente i propri affari, potrebbe innescare conflitti”, perché anche se Hamas ha da tempo espresso la propria disponibilità a non partecipare alla governance dell’enclave, punta comunque ad avere una voce. A sua volta l’Anp potrebbe temere ancora di più tale situazione, perchè “questo modello di governance potrebbe lasciarle poca o nessuna autorità a Gaza, consolidando la separazione tra la Cisgiordania e la Striscia”.

Proprio a questo riguardo, il piano di Trump non parla di come riconnettere Gaza alla Cisgiordania, né di come porre fine al blocco israeliano della Striscia, “senza il quale non è possibile una riqualificazione economica sostenibile”.

RIFORME ANP Il ritorno dell’Anp a Gaza e l’avvio di un nuovo percorso politico sono subordinati al completamento di un programma di riforme legato al “piano di pace del presidente Trump nel 2020”, così come alla proposta lanciata da Francia e Arabia Saudita. Quest’ultima prevede l’abrogazione del suo sistema di pagamento per “martiri e prigionieri”, la riforma dei libri di testo scolastici e l’impegno a indire elezioni entro un anno dal cessate il fuoco a Gaza. Ad oggi, “l’Anp ha ampiamente rispettato i primi due passaggi e il presidente Abbas ha promesso elezioni legislative e presidenziali entro un anno dal cessate il fuoco”, hanno sottolineato gli analisti.

Il piano di Trump del 2020 risulta invece più insidioso, perché chiedeva all’Anp di rinunciare al diritto di aderire a “qualsiasi organizzazione internazionale” senza il consenso di Israele e di astenersi dall’intraprendere qualsiasi azione presso organismi come la Corte penale Internazionale e la Corte internazionale di Giustizia.

Nelle loro conclusioni, gli analisti Ecfr hanno sottolineato che “un percorso di pace credibile deve iniziare con un cessate il fuoco a Gaza, ma non durerà senza un cambiamento radicale nell’atteggiamento pubblico e politico israeliano e senza un’inversione di tendenza nell’espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania”. Inoltre, hanno sottolineato Hugh Lovatt e Muhammad Shebaba, è “necessario garantire risultati politici da Israele per sostenere il processo di smantellamento di Hamas” e “tutto questo richiede un incessante sforzo congiunto da parte degli stati europei e arabi per esercitare pressioni dirette su Israele”, così come sugli Stati Uniti perchè si adoperino per “garantire il rispetto degli impegni israeliani”. “Senza tutto questo, il piano di Trump potrebbe fallire prima ancora di decollare”, è la loro conclusione.