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venerdì, 10 Ottobre, 2025
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Israeliani e palestinesi, tra sogno e incubo

Dal mito del kibbutz al dominio di Hamas: due popoli prigionieri dei propri fallimenti politici, mentre la “realpolitik” di Trump sembra chiudere ancora una volta la porta alla pace.

Ricordo ancora qualche anziano militante della sinistra che evocava incantato il kibbutz, il modello di villaggio rurale seguito dagli ebrei già prima della nascita dello Stato di Israele. Un villaggio-azienda nel quale i mezzi di produzione sono collettivi, non privati. Era la materializzazione di un sogno, che faceva breccia in ambienti non marginali della sinistra di tutto il mondo.

E un sogno era anche quello incarnato dall’Olp, un sogno che si situava lungo il solco dei movimenti di decolonizzazione e di più generale liberazione del Terzo mondo.

E poi i sogni si sono trasformati in incubi. La corruzione e le pratiche clientelari di Al-Fatah, la principale componente dell’Olp, hanno favorito l’affermazione e il prevalere, in particolare nella Striscia di Gaza, di Hamas. E a Israele la stella laburista si è gradualmente spenta, fino a cedere il posto a un premier come Benjamin Netanyahu.

Ora sembra ridestarsi il sogno della pace e della coesistenza pacifica. Non pochi interpretano la svolta delle ultime ore, legata all’iniziativa del presidente Donald Trump, come la conferma che non vi sia alternativa alla “realpolitik”; a quella concezione secondo la quale la Politica, quella con la maiuscola, non può che fondarsi sui rapporti di forza e sulle esibizioni muscolari.

È davvero così? Non credo. Se non mutano approcci e percorsi della politica, a ogni livello, saremo sempre alla posa della prima pietra, con il ciclico alternarsi di guerra e tregua. O, se vogliamo, di sogni e incubi.