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sabato, 11 Ottobre, 2025
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Una tregua che sa di pace o una pace che sa di tregua?

L’accordo promosso dagli Stati Uniti ridisegna l’equilibrio medio-orientale, ma l’assenza europea pesa. Forse siamo in presenza di un passo storico, se non resterà confinato all’euforia del momento.

La vera domanda che oggi tutto il mondo si pone è una sola. E cioè, il 9 ottobre 2025 sarà ricordato come una data storica? Da ricordare nei libri di testo? Da incorniciare nella millenaria disputa del Medio Oriente? Oppure, e dopo l’ufficialità di un accordo di pace che resta, comunque sia, di straordinaria importanza — è sufficiente registrare l’euforia dei due popoli direttamente interessati e coinvolti per rendersene conto — si riduce ad essere poco più di una tregua?

 

Il ruolo decisivo degli Stati Uniti

Ad oggi possiamo solo ipotizzare alcuni elementi oggettivi che non possono e non debbono, però, essere sottaciuti. Per onestà intellettuale, innanzitutto.

In primo luogo, il ruolo decisivo, determinante e centrale dell’Amministrazione americana guidata dall’attuale Presidente Trump. E questo al di là e al di fuori del profilo, dello stile e della stessa estemporaneità od approssimazione del progetto politico dell’attuale leadership statunitense.

Il coinvolgimento del mondo arabo

In secondo luogo, il coinvolgimento dei principali paesi arabi nell’operazione di pace. Con l’eccezione dell’Iran che, non a caso, è un paese radicalmente dispotico, illiberale, dittatoriale e storicamente finanziatore del terrorismo internazionale — a cominciare dai terroristi di Hamas.

Inoltre, guardando al futuro politico di quello Stato, va segnalato il progressivo indebolimento della destra più reazionaria, antidemocratica, illiberale e integralista del governo israeliano.

Un accordo di pace che potrebbe mettere definitivamente in un angolo quei settori della destra israeliana che sono stati decisivi nel massacro compiuto in Palestina in questi ultimi mesi dopo l’atto terroristico di Hamas — disumano, disastroso e incommentabile — del 7 ottobre.

Il silenzio dellEuropa e la sfida della stabilità

Infine, e purtroppo non possiamo non sottolinearlo, l’assenza — almeno sino ad oggi — di un’iniziativa politica forte e incisiva dell’Europa.

Un’assenza che purtroppo ha pesato in questi ultimi tempi, ma che può d’ora in poi dare un contributo altrettanto decisivo per una stabilità politica nell’area mediterranea e per una pace duratura ed efficace nella regione medio-orientale.

Ecco perché l’accordo che si prospetta attorno ai venti punti stilati dall’Amministrazione americana e condivisi con il resto del mondo arabo, insieme ai paesi che partecipano a quella operazione democratica e di riassetto globale di un’intera area al centro di violenze disumane, scontri tra etnie, guerre di religione e atavici conflitti, va incoraggiato e assecondato.

E speriamo che anche nel nostro Paese, senza piegare il tutto ad una polemica politica violenta e del tutto strumentale, d’ora in poi prevalgano il buonsenso, la razionalità, la cultura di governo e una forte e seria maturità democratica da parte delle varie forze politiche.

Speriamo — anche se, purtroppo, le avvisaglie che arrivano non sono così promettenti. Ma questi, se non altro e per fortuna, appartengono solo alla meschinità della politica, e non alle grandi pagine storiche che auspichiamo si aprano, finalmente, anche nel Medio Oriente.