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martedì, 14 Ottobre, 2025
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In Toscana centrodestra incassa prima sconfitta a Regionali, ‘effetto Vannacci al contrario’

Roma, 13 ott. (askanews) – La magra consolazione è che, sebbene di un soffio, si tratta del “risultato più alto mai raggiunto”. La Toscana si conferma una regione senza storia per il centrodestra che vede il candidato meloniano Alessandro Tomasi perdere con un distacco di circa 13 punti con il riconfermato presidente, Eugenio Giani, sostenuto dal campo largo.

E’ una questione di decimali rispetto al 40,46% di cinque anni fa, quando a tentare (e fallire) l’impresa fu la leghista Susanna Ceccardi. Ma, esattamente come è accaduto nelle regioni in cui si è vinto nelle due settimane precedenti, è il dato della competizione interna tra le liste della coalizione a essere particolarmente significativo. Fratelli d’Italia, che esprimeva il candidato presidente, è nettamente il primo partito con circa il 26,6%: praticamente il doppio rispetto a cinque anni fa (13,54%), in linea con le Politiche (26%) e leggermente sotto le Europee (27,4%). Va però considerato anche il 2,4% circa della lista civica a sostegno di Tomasi.

Tiene sostanzialmente Forza Italia che, con consensi intorno al 6,2% fa meglio della scorsa tornata regionale (4,2%), cresce rispetto alle Politiche (5,6%) e pareggia rispetto al voto per Bruxelles (6,3%, ma in quel caso correva insieme a Noi moderati).

Discorso a parte quello della Lega: la fotografia è impietosa. Il partito di Matteo Salvini si ferma intorno al 4,5%, attestandosi ancora una volta come terza forza della coalizione, calando sia rispetto al voto per il Parlamento del 2022 (6,6%) sia alle Europee (6,2%). Spietato – ma anche impossibile visto che in quel caso esprimeva il candidato presidente – il confronto con cinque anni fa quando conquistò il 21,7%.

Ma, soprattutto, si tratta di una sconfitta della Lega ‘vannaccizzata’. Parafrasando il libro che lo ha reso celebre, l’effetto del generale su queste lezioni c’è stato ma ‘al contrario’. D’altra parte, le cronache delle settimane precedenti hanno portato alla luce una faida tutta interna al Carroccio. Matteo Salvini lo ha voluto coordinatore della campagna elettorale, magari sperando che potesse ripetere il ‘miracolo’ delle Europee, ma poi sono arrivate le proteste pubbliche proprio di Susanna Ceccardi che lo ha accusato di aver fatto il bello e il cattivo tempo sulle liste. “Il partito non è un esercito”, aveva tuonato.

Non è un caso che all’interno della coalizione, persino tra i leghisti non allineati al generale, si dia per scontato che a far mancare i voti – e dunque a certificare la debacle – siano stati gli stessi compagni di partito. Diversa la versione tra i suoi fedelissimi. “Tre mesi fa la Lega nei sondaggi in Toscana era sotto il 3%”, spiega Massimiliano Simoni, finora unico consigliere sicuramente eletto. “Bisognerà interrogarsi su questo in futuro. Sarebbe stato opportuno metterlo nel simbolo”, aggiunge.

E sebbene pubblicamente nessuno lo ammetterà mai, anche dentro Fratelli d’Italia si tira un certo sospiro di sollievo per la scarsa performance di Vannacci, che dalle parti di via della Scrofa viene considerato meno ‘gestibile’ di Salvini, per non dire del modo in cui strizza l’occhio a un certo elettorato nostalgico della destra.

A questo punto si guarda al round di novembre quando saranno chiamate al voto tre regioni contemporaneamente: Puglia, Campania e Veneto. Sulla carta tre esiti già scritti: nella prima tutti si aspettano che Antonio Decaro vinca a mani basse sul candidato civico scelto dal centrodestra Luigi Lobuono, nella seconda il meloniano Edmondo Cirielli cercherà di giocarsela con Roberto Fico mentre in Veneto viene data per scontata la vittoria del salviniano Alberto Stefani sul candidato del campo largo, Giovanni Manildo. Tuttavia, sebbene questa sia una sfida destinata ad andare liscia come l’olio, non tutto può essere ancora dato per scontato. Alla fine Giorgia Meloni ha deciso di lasciare alla Lega la candidatura per palazzo Balbi in cambio di un impegno ufficiale a ‘cedere’ la Lombardia a Fratelli d’Italia, oltre che alla formazione di una giunta in cui vengano affidati ai ‘suoi’ assessorati di peso come sanità e bilancio. Ma non è l’unica condizione: l’altra, sempre nell’ottica di una accesa competizione interna alla coalizione, è l’esclusione dell’ipotesi di inserire il nome di Luca Zaia dal simbolo della Lega. Circostanza che ha spinto il ‘doge’ a mettere in discussione la sua intenzione di presentarsi come capolista ovunque. “Sembrava si potesse mettere il mio nome sul simbolo della lista, ho visto che c’è stato un veto anche su questo a livello nazionale, se sono un problema vedrò di renderlo reale il problema, cercherò di organizzarmi per rappresentare fino in fondo i veneti”, il messaggio recapitato.