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giovedì, 23 Ottobre, 2025
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Bilancio di un triennio di governo

Tra propaganda e realtà: le contraddizioni del governo Meloni dopo tre anni al potere

Il governo Meloni è dunque giunto al terzo anno, diventando il terzo più longevo della storia repubblicana.

Si sprecano gli elogi dei sostenitori della destra, mentre continua l’affannosa ricerca di unità del cosiddetto “campo largo”, che anche oggi si dividerà sulle mozioni in discussione per la guerra russo-ucraina.

Il modo più serio per una corretta valutazione dei risultati del governo resta quello di partire dai dati della realtà effettuale, al di là dei giudizi propagandistici e ideologici di destra o di sinistra.

I numeri dell’economia: macro contro micro

Se i dati macroeconomici esposti, con comprensibile soddisfazione, dal governo – occupazione, riduzione dello spread, tenuta dei conti – sembrano volgere al bello, assai meno positivi risultano quelli di ordine microeconomico, che incidono sulle tasche dei cittadini.

Solo nel comparto degli alimentari, secondo i dati dell’ISTAT, gli italiani sopportano un costo aggiuntivo di circa 343 euro all’anno per famiglia, con i seguenti aumenti: carne bovina +7,3%, latticini +6,6%, uova +7,1%, burro +10,6%, agrumi +13,3%, cioccolato +11%, caffè +22%.

Promesse mancate e inversioni di rotta

Se ricordiamo le promesse elettorali della maggioranza, l’elenco è lungo:

il superamento della Legge Fornero (Salvini: “Se non la cancelliamo entro un anno potete spennacchiarmi”),

le pensioni minime a 1000 euro promesse da Tajani,

il rinnovo dell’“Opzione Donna” giurato da Meloni nel programma di Fratelli d’Italia.

Tutte promesse rimaste lettera morta.

In definitiva, lo scarto tra il prima e il dopo voto è netto e negativo:

dal NO all’euro al SÌ all’euro;

dal NO all’austerity al SÌ all’austerity;

dal NO alle tasse al SÌ alle tasse;

dal NO Draghi al SÌ all’agenda Draghi;

dal NO Fornero al SÌ al taglio delle pensioni;

dal NO accise al SÌ accise;

dal NO trivelle al SÌ trivelle;

dal NO MES al SÌ MES;

dal NO POS al SÌ POS;

dal SÌ al blocco navale al NO al blocco navale;

dalla scelta sovranista alla posizione ambigua europeista.

Politica estera e ambiguità strutturale

Quanto alle conclamate fortune internazionali della premier, oltre alla posizione di subordinazione alle strategie trumpiane, continua una triplice versione della politica estera italiana:

l’europeismo netto di Tajani, il filo-putinismo di Salvini, e la posizione euro-trumpiana della Meloni.

Un trilemma indecente che, nella Prima Repubblica, avrebbe condotto qualsiasi governo alle dimissioni.

Se esaminiamo poi il doppiogiochismo governativo sulla guerra in Medio Oriente, ricordiamo cosa diceva Meloni il 10 ottobre scorso: “Orgogliosi del contributo silenzioso ma costante dell’Italia all’accordo su Gaza”.

In realtà, le scelte del governo sono state chiare: nessuna sanzione a Israele; no al blocco delle vendite di armi a Netanyahu; no al riconoscimento della Palestina (con una lieve retromarcia tardiva); voto contro il cessate il fuoco; no all’arresto di Netanyahu.

Una costante esibizione della storica ambiguità e inaffidabilità italiana.

Astensionismo e crisi della rappresentanza

Un triennio, dunque, dal bilancio nettamente negativo, accompagnato da un progressivo distacco dei cittadini dalla politica.

Le ultime elezioni regionali lo confermano: astensionismo oltre il 51%, con il partito dei non votanti ormai maggioritario.

È su questo dato che tutte le forze politiche dovrebbero riflettere: esso esprime l’insoddisfazione, la frustrazione e la rabbia degli elettori che, in assenza di veri partiti, oggi si limitano ad astenersi, ma presto potrebbero tradurre il malcontento in forme più consistenti di reazione sociale e politica.

Il “Non Stato” e le nuove diseguaglianze

Nella mia teoria dei quattro Stati – casta, diversamente tutelati, terzo Stato produttivo e quarto “Non Stato” – individuavo in quest’ultimo l’insieme delle attività illegali e dell’“economia sommersa”.

Proprio in questi giorni l’ISTAT ha diffuso dati allarmanti: “L’economia sommersa e illegale è cresciuta di 15 miliardi nel 2023, raggiungendo il 10,2% del PIL.”

Agricoltura, costruzioni e servizi risultano le categorie più irregolari.

In un Paese in cui l’IRPEF grava in modo prevalente su dipendenti e pensionati – cioè su categorie fiscalmente controllabili all’origine – e con un terzo Stato produttivo costretto a versare quasi sei mesi di reddito annuo in imposte e contributi, è fisiologico che molti ricorrano al sommerso.

Ne deriva un’area di diseguaglianze e frustrazioni che oggi si traduce in fuga dal voto, ma che domani potrebbe deflagrare in una più seria reazione sociale.

La sfida del “centro nuovo”

Da questi dati dovrebbe partire una riflessione politica non solo per il governo e il campo largo, ma anche per quanti, eredi della tradizione democratico-cristiana e popolare, intendono contribuire alla costruzione di un nuovo centro politico, capace di saldare – come seppe fare la DC – gli interessi dei ceti medi con quelli delle classi popolari.