Roma, 27 ott. (askanews) – La cornice del prossimo vertice tra il presidente statunitense Donald Trump e il leader cinese Xi Jinping, previsto per giovedì in Corea del Sud a margine del summit Apec, si è delineata nelle ultime ore con l’annuncio di un accordo preliminare sui dazi raggiunto a Kuala Lumpur. L’intesa, ancora da ratificare a livello politico, evita l’entrata in vigore dei dazi del 100% sulle importazioni cinesi minacciati da Washington e riapre un canale di dialogo diretto tra le due maggiori potenze economiche del pianeta.
Il segretario al Tesoro Scott Bessent ha confermato che i colloqui “costruttivi” con la delegazione cinese hanno portato a un “quadro sostanziale” di accordo, grazie al quale Pechino avrebbe accettato di rinviare di un anno le restrizioni sull’export di terre rare, un settore vitale per l’industria americana. “Il presidente Trump mi ha dato un grande margine di manovra con la minaccia dei dazi, e credo che abbiamo raggiunto un’intesa significativa che li eviterà e ci permetterà di discutere molte altre questioni con la Cina”, ha dichiarato Bessent.
Il compromesso, raggiunto dopo intense trattative con il vicepremier cinese He Lifeng e il negoziatore Li Chenggang, prevede anche l’allentamento del blocco cinese all’acquisto di soia americana e un’intesa definitiva sul caso TikTok, che sarà ristrutturato sotto controllo di investitori statunitensi per evitare il divieto imposto dal Congresso per motivi di sicurezza nazionale. Tra i temi concordati figura inoltre una cooperazione rafforzata per contrastare il traffico di fentanyl, che Trump ha definito “un’emergenza nazionale”.
L’accordo, praticamente un cessate il fuoco temporaneo, ha di fatto spianato la strada all’incontro di giovedì, il primo faccia a faccia tra Trump e Xi del secondo mandato del presidente americano. Trump ha confermato inoltre a bordo dell’Air Force One che si recherà in Cina “all’inizio del 2026”, un viaggio che sarà seguito da una visita del presidente Xi negli Stati uniti, “probabilmente a Washington o Palm Beach”. Il portavoce del ministero degli Esteri Guo Jiakun, dal canto suo, non ha dato informazioni sull’annuncio di Trump: “Non informazioni da rendere pubbliche”.
Le delegazioni di Washington e Pechino hanno presentato il risultato dei colloqui in toni prudenti. “I risultati sono stati duramente conquistati e devono essere salvaguardati congiuntamente”, ha detto il vicepremier He Lifeng, auspicando che “Cina e Stati uniti si incontrino a metà strada e gestiscano le differenze”. Da parte americana, il rappresentante per il commercio Jamieson Greer ha chiarito che “solo i leader potranno decidere quando avremo un accordo definitivo”.
Il summit di Gyeongju arriva in un momento di fragile distensione, ma le divergenze strategiche restano profonde. Sul dossier nordcoreano, la posizione americana si mantiene ferma: Washington chiede una denuclearizzazione definitiva, irreversibile e verificabile. Per quanto Trump si sia detto anche disponibile a prolungare il suo viaggio in Asia per vedere Kim Jong Un, i padroni di casa sudcoreani considerano un tale incontro “molto improbabile” in occasione del vertice Apec, anche se si dicono pronti a ogni evenienza. In fondo, anche l’altro summit Trump-Kim avvenuto nella Zona demilitarizzata fu deciso all’ultimo istante. Pechino, dal canto suo, continua a invocare “dialogo e moderazione” e si oppone a un inasprimento delle sanzioni contro Pyongyang, considerata un elemento chiave della stabilità regionale.
Altrettanto sensibile è la questione di Taiwan. Trump, a differenza del suo predecessore Joe Biden, ha scelto di non impegnarsi esplicitamente nella difesa militare dell’isola, mantenendo la tradizionale “politica dell’unica Cina” e respingendo l’idea di una visita ufficiale del leader taiwanese negli Stati uniti. Xi Jinping, dal canto suo, ha ribadito che la riunificazione resta “un obiettivo storico” e ha messo in guardia contro qualsiasi interferenza esterna.
Le tensioni si estendono anche al Mar cinese meridionale, dove gli Stati uniti continuano a condurre operazioni di “libertà di navigazione” (FON, Freedom of Navigation) e Pechino rivendica la sovranità sulle isole contese. Gli incidenti navali con le Filippine e il crescente rafforzamento militare americano a Manila e a Guam alimentano un clima di sospetto reciproco.
Il vertice tra Trump e Xi assume quindi un valore che va oltre il commercio, rappresentando un test sulla possibilità di stabilire nuovi equilibri tra le due superpotenze. Nella sua seconda presidenza, Trump sembra orientato verso un approccio pragmatico e meno ideologico nei confronti della Cina, volto a ridurre l’escalation e a concentrarsi su risultati economici concreti. Per ottenerli, la ricetta è sempre quella di ventilare dazi insostenibili per spingere a un tavolo e ottenere il massimo possibile. Tuttavia, al fondo permangono divisioni profonde, strategiche e quindi non risolvibili facilmente, sull’intelligenza artificiale, i semiconduttori e la sicurezza delle catene di approvvigionamento globali.
Trump, tra l’altro, è arrivato oggi in Giappone, dove incontrerà la nuova premier Sanae Takaichi, la prima donna alla guida del governo nipponico, nota per le sue posizioni fortemente anticinesi e per il sostegno a un rafforzamento delle capacità difensive del Giappone. L’incontro con Takaichi, che precede quello con Xi, rischia di riaccendere le tensioni regionali proprio alla vigilia del vertice in Corea del Sud.
Il summit di Gyeongju sarà dunque un banco di prova decisivo: da un lato, l’opportunità di trasformare la tregua commerciale in un dialogo strategico più ampio; dall’altro, il rischio che le rivalità geopolitiche su Taiwan, Corea del Nord e Indo-Pacifico tornino a prevalere, riportando Washington e Pechino sul sentiero di una nuova guerra fredda. (di Antonio Moscatello)

