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giovedì, 30 Ottobre, 2025
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Il futuro può aprirsi a un popolarismo “liberal”: anche il riformismo è passato.

“Ci sarebbe bisogno di unificare istanze, domande, bisogni diversi in un nuovo progetto culturale”. Questo scriveva Misasi, di cui oggi pomeriggio alla Camera si terrà un ricordo alla presenza di Sergio Mattarella, sul finire del Novecento.

[…] Può tutto questo renderci soddisfatti dell’esistente e accontentarci nella conservazione e magari solo nella migliore distribuzione interna delle grandi conquiste del passato?

Eppure tutti questi problemi sono avvertiti, da più parti ed anzi forse da tutti. Alcuni anzi hanno alimentato ed alimentano movimenti e spinte, impulsi generosi di volontariato, battaglie su questo o quel punto, iniziative sociali e civili diverse. Inoltre sono insorti fatti e fenomeni nuovi che attendono risposte mentre resta, sia pur latente, come sí è detto, un vasto patrimonio di analisi, di spinte, di tensioni inappagate.

Ci sarebbe bisogno di unificare istanze, domande, bisogni diversi in un nuovo progetto culturale; di mettere insieme in una nuova e più alta sintesi tutte le spinte che animano il mondo d’oggi.

Un mettere insieme che non significhi mortificazione di niente o di nessuno, che non omologhi, in una appiattita uniformità, l’infinita varietà delle persone, delle comunità, delle cose. Un mettere insieme che riesca a coniugare l’inarrestabile spinta verso la universalizzazione con il rispetto di ogni particolarità, di ogni etnia, di ogni autonomia.

In questo senso si potrebbe dire che ci sarebbe bisogno di riscoprire una ispirazione religiosa, almeno nell’accezione etimologica della parola religio nel suo significato di mettere insieme le diversità rispettandole.

Si colloca qui inoltre la necessaria riscoperta, nel senso più profondo del termine dell’idea di popolo, così diversa da quella di massa, essendo, l’uno espressione di una sintesi della ricchezza delle diversità e, l’altro, appiattimento mortificante di ogni diversità e riduzione di tutto ad una somma di individui eguali ed egualmente considerati come semplici numeri.

Il popolo è il soggetto proprio della democrazia. La massa è il concetto portante così di una superata visione collettivistica come dell’attuale diffuso consumismo e del materialismo edonistico del vivere.

Una visione popolare dunque potrebbe essere una prima fondamentale indicazione di nuova cultura politica, fatta di rispetto di ogni varietà ed espressiva pertanto di una fondamentale ragione di tolleranza, di umiltà, di ascolto continuo e costante verso ciò che emerge come verso ciò che è altro. Caratterizzata perciò da un atteggiamento “liberal”, parola che non si identifica né tanto meno si esaurisce nel liberalismo, cosi come storicamente si è venuto affermando. “Liberal” significa piuttosto la continua insoddisfazione verso qualsiasi soluzione raggiunta, verso qualsiasi storia fatta e la propensione, invece, a ricercare un assetto sempre nuovo, più giusto, più garante di tutte le libertà dell’uomo. Per cio stesso significa anche il rifiuto di qualsiasi arroganza, di qualsiasi manicheismo, di qualsiasi tentazione di affermare una propria presunta diversità superiore fatalmente faziosa, e di demonizzare l’altro, l’avversario o anche solo chi la pensa  diversamente.

Una nuova cultura popolare, “liberal”, continuamente innovatrice e riformatrice, religiosamente ispirata, forse anche articolata in varie esperienze territoriali fra di loro federate, che cerchi non tanto di imporre, quanto di far crescere, una nuova ed alta coscienza civile, volta a rimuovere le condizioni e gli ostacoli che tuttora, e volta a volta, impediscono la piena manifestazione dell’uomo e delle sue libertà: questa sia pure nei termini estremamente generici usati, potrebbe essere una via possibile, un obiettivo da porsi, una speranza da alimentare, un impegno da assumere.

Certo, questo non è un discorso che riguardi il breve periodo o, come già si è detto, la corta distanza. È invece un auspicio per il medio o, più probabilmente, il lungo termine.

È almeno possibile, d’altra parte, che tutti gli attuali soggetti politici partecipino del carattere proprio della fase di transizione che si vive. In essa svolgono un ruolo comunque ineludibile ed importante, ma, nel procedere di tale fase, potrebbero anche, per così dire ed in qualche modo, consumarsi o, come diceva Aldo Moro, dar vita a scomposizioni per ricomposizioni. In fondo al processo, perciò, potrebbero definirsi una condizione ed un assetto nuovi, ora non facilmente prevedibili.

Dovunque allora, sotto l’ombra di qualsiasi tradizionale etichetta, resistono aspirazioni autentiche di libertà, di giustizia, di rinnovamento, e qui, in questo ampio retroterra, che liberati da vecchie e superate rigidità intellettuali, forse, fin d’ora, si potrebbe e si dovrebbe lavorare, innanzitutto sul piano culturale, per colmare il solco della crisi e tentare di costruire il nuovo. Questo riguarda tutti ma riguarda essenzialmente le nuove generazioni, verso le quali si può e si deve avere fiducia e nutrire speranza.

P. S. Lo scritto è tratto da R. Misasi, Storia di un Libero Comune. Dall’esperienza antica di Orvieto provocazioni e pensieri per oggi, Prefazione di Giuseppe De Rita, Rubbettino, 1998, pp. 436-437