Ho sempre trovato ai limiti dell’imbarazzante la battaglia per declinare appellativi e incarichi pubblici al femminile. Mi impressionò l’entusiasmo negli occhi della giovane assessore che si fotografava davanti una targhetta con la scritta “Assessora”: se avesse scoperto la formula dell’immortalità non avrebbe provato tanto orgoglio! E i commenti: “grande”! “Finalmente”! “Un piccolo grande passo”!!!
E così scrissi pubblicamente che mi cadevano le braccia, che forse, e dico forse, tutta quell’energia dovremmo metterla per ottenere asili gratuiti, ausili reali per giovani madri (ma reali per davvero), scuole a tempo pieno con progetti di qualità per i figli, mentre i genitori sono al lavoro e non possono contare sui nonni o altri supporti. Invece no, ci si straccia le vesti per farsi chiamare “avvocata, presidenta, assessora, consigliera…”; ma la cosa più triste è che ci si è dimenticati che la più straordinaria battaglia femminista, concreta e vittoriosa, portava un nome ed un cognome: Tina Anselmi.
Andrebbe studiata, letta, riletta e studiata ancora, perché nel suo operato di ministro donna, per la prima volta in Italia, si ritroverà il vero senso della battaglia femminista, col lavoro sulla parità salariale, sulle pari opportunità, sul lavoro delle donne.. temi che solo lei seppe portare per la prima volta sul tavolo del governo.
Era il 29 luglio del 1976, 77 anni fa quando Tina Anselmi entrava al governo e oggi a ricordarla in Veneto non è il segretario (donna) del Pd, né l’ufficio di segreteria del partito, la cui pagina social sembra essere monotematica. No, lo fa un leghista. Lo fa cioè il Presidente Zaia dedicandole una pagina in cui si rammenta la sua storia e le sue straordinarie battaglie, con riconoscenza. Sicché io, nipote di partigiano e fiera studiosa del diritto del lavoro, costantemente alla ricerca di un pretesto per tornare a dare fiducia al partito cui ero iscritta, ancora una volta mi arrendo. Delusa. Il centro sinistra ha perso anche questa occasione. E noi, che pure abbiamo creduto nell’esperimento di un partito a vocazione riformatrice, non possiamo che dichiararci orfani di una casa politica.
Ripeto, ancora una volta.