A 50 ANNI DALLA LEGGE SULL’OBIEZIONE DI COSCIENZA: IL CONTRIBUTO DECISIVO DI GIOVANNI MARCORA.

La legge sull’obiezione di coscienza era stata per Marcora – ricorda qui l’autore – “l’occasione per fornire un contributo alla causa della Pace, ben sapendo però che esistono dei momenti nella Storia nei quali occorre avere il coraggio di affrontare anche la dura realtà della lotta in armi. Lui che era stato partigiano aveva ben conosciuto quella realtà”.

 

Ricorre quest’anno il cinquantesimo anniversario della “legge Marcora” sull’obiezione di coscienza al servizio militare. La legge 772 venne approvata il 15 dicembre 1972 con i voti di DC, PSDI, PLI; astenuti PRI, PSI, PCI; contrario il MSI.

Essa riconosceva per la prima volta il principio per cui “gli obbligati alla leva che dichiarino di essere contrari in ogni circostanza all’uso personale delle armi per imprescindibili motivi di coscienza, possono essere ammessi a soddisfare l’obbligo del servizio militare” nei modi previsti dalla legge stessa. Il provvedimento normativo riconosceva dunque ai giovani di leva la possibilità di optare per il servizio civile in sostituzione di quello militare.

La legge rispondeva ad una domanda che il mondo giovanile dell’epoca, pervaso dal clima pacifista che aveva caratterizzato la “contestazione al sistema” dal 1968 in avanti, stava ponendo con sempre maggior insistenza anche se non ancora con numeri rilevanti (nel 1973 gli obiettori sarebbero stati in tutto solo 143). Una legge che venne ostacolata dalle Forze Armate, al tempo ancora legate alla concezione ottocentesca della leva obbligatoria e ottusamente riottose a cogliere i segni dei tempi per saperli volgere anche nel proprio interesse, ovvero un esercito più professionale e meglio dotato sotto il profilo dei sistemi d’arma. Militari conservatori e tradizionalisti che però avevano incontrato il sostegno di fatto della Sinistra e in particolare del Partito Comunista, ancora strutturalmente e ideologicamente collegato all’Unione Sovietica e alla concezione per la quale soldati e popolo erano un tutt’uno. Fu quello pertanto un caso nel quale la DC si pose all’avanguardia in una battaglia per un diritto civile che guardava ai valori della Pace e della fratellanza tra gli uomini. Non fu un caso. Fu invece il portato di un lavoro assai intenso, mediante articoli, convegni, iniziative pubbliche, prodotto dal Movimento Giovanile DC, in particolare di Milano e Reggio Emilia, che venne coronato da una grande manifestazione nazionale a Roma nel marzo 1972.

Quelli erano anni – come è noto – di grande fervore politico e anche un partito popolare come la Dc (nonostante fosse il bersaglio di tutta la contestazione giovanile sia di destra sia di sinistra) aveva un proprio importante bagaglio di consensi, non solo elettorali, ma anche di militanza attiva presso le nuove generazioni. Numeri oggi inimmaginabili per gli attuali pallidi partiti, tali da consentire l’organizzazione frequente e sempre partecipata di convegni politici e di manifestazioni di piazza, che non erano unico appannaggio della sola sinistra, in particolare extraparlamentare, come la vulgata pubblicistica ha spesso lasciato credere. Questo dell’obiezione di coscienza al servizio militare fu esattamente uno di quei casi nei quali i giovani democristiani furono in prima fila. Con il vantaggio d’essere parte del principale partito di governo e del partito largamente maggiore in Parlamento. Quindi con la possibilità reale di esercitare una pressione rilevante su chi poi avrebbe dovuto trasformare la battaglia in iniziativa legislativa.

Giovanni Marcora fu tra i non molti politici in generale e democristiani in particolare che seppero da subito cogliere questa domanda per poi tradurla, appunto, in una proposta di legge. E sostenerla con vigore durante il suo iter nelle due Camere. In questo venne aiutato, verosimilmente, dall’essere stato segretario provinciale della DC milanese: proprio a Milano il Movimento Giovanile si era distinto per un forte impegno rivolto al tema della Pace e conseguentemente anche a quello di un’alternativa in termini di servizio civile alla obbligatorietà di quello militare.

Naturalmente il percorso che condusse alla legge non fu affatto semplice e lineare, e anzi risultò assai tortuoso impegnando ben due legislature. Né la legge poteva dirsi risolutiva dei temi di fondo posti dagli obiettori e diverse sue statuizioni mostrarono presto la loro insufficienza. Però alla fine una legge ci fu ed un primo risultato venne ottenuto. Questo fu il grande merito di Marcora.

Egli aveva infatti dovuto superare diversi ostacoli, incluso una certa indifferenza al tema dei gruppi parlamentari democristiani (mentre il partito parve più interessato e coinvolto, grazie alla pressione – come si è detto – esercitata su di esso dal suo Movimento Giovanile). Già nella V^ legislatura (1968-1972) il neo-senatore aveva affrontato l’argomento presentando una proposta di legge che sostanzialmente ricalcava quella predisposta nella IV^ legislatura del compianto Nicola Pistelli, una delle menti più argute della corrente di Base, purtroppo prematuramente scomparso. Un testo senz’altro più avanzato di quello che sarebbe risultato alla fine, dopo tutte le mediazioni che dovettero essere fatte per poter giungere a votare la legge. Un testo più avanzato che riconosceva automaticamente l’obiettore di coscienza quale persona che “si oppone alla guerra e all’uso delle armi anche a scopo puramente difensivo” per motivi, appunto, “di coscienza”, ma che in ogni caso prevedeva una durata del servizio sostitutivo di quello militare maggiore di una volta e mezza quale verifica di fatto della effettiva serietà delle scelte compiute dall’obiettore, esplicita concessione ad un clima generale ancora negativo nei confronti dell’obiezione, quasi fosse un rifiuto a servire la Patria in assoluto e non solo in armi.

La proposta di legge iniziò così il suo percorso e, come sempre accade, ne incontrò sulla strada altre analoghe, tutte però più restrittive, presentate da altri parlamentari democristiani; e incontrò altresì l’opposizione esterna alle aule parlamentari del mondo militare così come la velata disapprovazione manifestata dal Ministero della Difesa. Il testo che ne derivò in fondo al lungo e accidentato percorso in Commissione Difesa fu alla fine differente da quello della proposta originaria, meno avanzato e più attento a non eccedere nello scontro con le Forze Armate: il diritto soggettivo all’obiezione era negato di fatto, in quanto essa era individuata come una concessione che lo Stato elargiva previo un accertamento “circa la fondatezza e la sincerità dei motivi addotti” effettuato da una commissione appositamente istituita avente un arco temporale decisionale molto ampio (6 mesi) che mirava con tutta evidenza a disincentivare i giovani che avessero immaginato di obiettare, anche perché il servizio sostitutivo avrebbe avuto a sua volta una durata superiore di otto mesi rispetto a quello militare.

L’iter del progetto di legge fu assai lungo. Votato infine nel luglio 1971 dal Senato approdò in Commissione Difesa alla Camera quattro mesi dopo, ove si arenò, anche perché la legislatura venne interrotta di lì a poco. Nella nuova, quella che inizialmente condusse ad un governo Andreotti di centro-destra, Marcora con la determinazione che gli era naturale riuscì a ripescarlo, utilizzando una norma per la quale avrebbero avuto diritto ad essere esaminati per primi i progetti di legge già approvati da una delle Camere nella legislatura precedente. E così la legge venne velocemente votata. Tentare di migliorarla avrebbe comportato il rischio di non votarla mai, in quella legislatura. Come si dice, a volte l’ottimo è nemico del bene. Gli umori diffusi, anche nel gruppo democristiano, non erano propriamente sintonici con il tema. Quindi meglio portare a casa il risultato. Le carenze della nuova normativa, che peraltro si sarebbero rivelate ben presto, sarebbero state affrontate e superate in tempi più propizi, rifletté Marcora. Adesso, per lo meno, una legge che riconosceva l’obiezione di coscienza al servizio militare c’era. E non era un risultato da poco.

Ed infatti: undici anni dopo il senatore Marcora aveva già abbandonato questa terra e noi giovani dc milanesi ci stavamo impegnando nel sostenere la proposta di legge – primi firmatari gli onorevoli Brocca, Casati e la nostra amica Mariapia Garavaglia – che interveniva sui punti che l’applicazione della 772 aveva dimostrato essere indispensabile correggere anche in quanto superati dall’evoluzione dei tempi e dalle nuove sensibilità nel frattempo emerse. Soprattutto introducendo il concetto di servizio civile “alternativo” e non meramente sostitutivo, sottolineando in tal modo il pieno rispetto che lo stato democratico deve e vuole avere per le esigenze interiori e profonde della persona umana. Diritto all’obiezione, dunque, come diritto soggettivo. Punto di partenza di un’evoluzione che si svilupperà negli anni successivi.

Di questa vicenda merita evidenziare due aspetti in modo particolare. Il primo è che Marcora nutriva nei confronti dei giovani un interesse non solo formale. Ebbi modo di constatarlo personalmente nei miei anni al Movimento Giovanile. Ovviamente la mia conoscenza del senatore era minima, e devo dire che egli mi incuteva anche un certo timore reverenziale. Eppure mi colpì molto la sua attenzione al nostro punto di vista di giovani di fine anni settanta, che con me volle approfondire durante qualche colloquio presso la spartana stanza di via Mercato, la sede della corrente di Base. La “legge Marcora” sull’obiezione di coscienza era stata per lui l’occasione per fornire un contributo alla causa della Pace, ben sapendo però che esistono dei momenti nella Storia nei quali occorre avere il coraggio di affrontare anche la dura realtà della lotta in armi. Lui che era stato partigiano aveva ben conosciuto quella realtà.

La sensibilità di Marcora nei confronti dell’obiezione di coscienza in verità non derivava solo dalla sua attenzione nei confronti del mondo giovanile. La corrente di Base, da lui fondata nel 1953 insieme ad altri amici di partito, aveva fin da subito posto fra le sue priorità la comprensione della politica internazionale. La Guerra Fredda divideva il mondo in due, e così implicitamente ricordava alla politica nazionale, spesso desolatamente provinciale, quanto necessario fosse ampliare gli orizzonti del Paese. Anche perché quell’irrigidimento geopolitico non avrebbe potuto durare per sempre e occorreva iniziare per tempo una riflessione rivolta al dopo. Ciò significava, sul piano esterno, rafforzare l’impegno per un’Europa unita che potesse in prospettiva recitare un proprio ruolo autonomo, ancorché coordinato con l’alleanza strategica con gli Stati Uniti, sullo scacchiere globale. Sul piano interno, lavorare in ottica futura per – alla maniera di Moro – “allargare le basi dello Stato democratico”, sfuggendo alle rigidità imposte dallo scontro ideologico.

Questa tensione al futuro, questa voglia di guardare avanti, di “costruire nuovi orizzonti” erano specifici di alcuni uomini della DC, e della sinistra interna in particolare: fra i quali emergeva Luigi Granelli, che proprio Marcora aveva chiamato a Milano per aiutare con la sua intelligenza e capacità oratoria il lavoro di costruzione della corrente e di conquista del partito a livello locale, in città e in provincia. Apparve subito evidente che il futuro doveva portare con sé la pace, o meglio dire il consolidamento della pace, che invece il clima teso della Guerra Fredda non favoriva a livello di percezione collettiva. La Guerra di Corea prima, la costruzione del Muro a Berlino poi, e dopo ancora l’allarme rosso della Baia dei Porci avevano suscitato preoccupazioni enormi alle quali occorreva fornire una risposta tranquillizzante ma pure convincente. La Chiesa Cattolica, col pontificato giovanneo e col Concilio, si pose all’avanguardia nell’impegno per la pace nel mondo e ciò aiutò molto i cattolici democratici nel loro lavoro di sensibilizzazione sul tema, anche all’interno della DC.

Granelli insisteva con sempre maggior frequenza per una politica estera italiana “coraggiosa”, non terzoforzista ma al contempo fermamente orientata alla pace e alla convivenza fra i popoli. Marcora condivideva e quando era il caso interveniva egli pure in argomento. Che anzi fu uno dei temi forti della sua campagna elettorale nel 1968, quando venne eletto al Senato nel collegio brianzolo/milanese di Vimercate. Conferma dell’alleanza con gli Stati Uniti con una visione difensiva e non aggressiva della NATO, rilancio dell’Europa come attore attivo della politica internazionale, attenzione innovativa verso quelli che al tempo erano chiamati “Paesi in via di sviluppo”: questi i cardini di una posizione che la lunga e crudele guerra nel Vietnam aveva contribuito a definire con nettezza e che diverse componenti democristiane, a cominciare dalle sinistre interne, stavano sostenendo convintamente. Il collegamento con la spinta giovanile nella medesima direzione e dunque anche con l’emergente tematica dell’obiezione di coscienza al servizio militare fu naturale. Col percorso che ne seguì, qui ricordato nei suoi passaggi essenziali.

Valori forti e progettualità politica condussero ad un risultato decisivo per aprire un fronte di progresso che avrebbe prodotto nel tempo ulteriori e ancor più significativi esiti.