Non ci sono dubbi che la stragrande maggioranza dei cittadini romani, che hanno conosciuto i peggiori 270 giorni dell’ultimo secolo, sono quelli vissuti nel periodo compreso dall’8 settembre 1943 ( per la mancata difesa della città di Roma, da parte dei vertici del Regio esercito e “la battaglia di Porta San Paolo”, la data che segnò anche l’inizio della Resistenza romana contro l’occupazione tedesca) e il 4 giugno 1944, giorno della Liberazione di Roma, da parte degli Alleati.
Cessò, così improvvisamente l’incubo del terrore e della paura nella Capitale, perché ogni giorno che sorgeva il sole, non si sapeva mai, come sarebbe finita la giornata.
Quello che è accaduto a Roma in quel periodo storico, dell’occupazione nazista, riservava quotidianamente vicissitudini incredibili e drammatiche di ogni genere: bombardamenti aerei, rappresaglie, attentati, fucilazioni, rastrellamenti, deportazioni, precettazioni obbligatorie, conflitti a fuoco fra partigiani e soldati tedeschi, torture, sabotaggi, coprifuoco, notizie ridotte al lumicino per la censura sui pochi mezzi d’informazione, come giornali e radio, e tanta, tanta fame.
Non a caso il generale Albert Kesselring, comandante in capo delle forze armate tedesche in Italia, (responsabile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine) sosteneva che: “Roma era diventata per noi (militari tedeschi) una città esplosiva…”. Durante l’occupazione di Roma, i nazisti con l’aiuto dei fascisti, che avevano aderito alla Repubblica Sociale di Salò, usarono i rastrellamenti e le deportazioni coma strategia del terrore nei confronti dei romani.
Un episodio emblematico di quel periodo è stato certamente, il massiccio rastrellamento nel quartiere popolare del Quadraro. Iniziato all’alba del 17 aprile 1944. Fu un’operazione militare tedesca (coadiuvata dalla Gestapo, dalle SS e dalla Banda Koch) ai danni della popolazione di quel territorio, che veniva definito dalle truppe occupanti, come covo di partigiani, di renitenti alla leva, di sabotatori e di oppositori al regime. Infatti nel quadrante sud – est di Roma, nella zona compresa tra il Quadraro, Torpignattara, Centocelle e Quarticciolo, tra la Tuscolana, la Casilina e la Prenestina, si giocarono giornalmente delle partite ad alto rischio pagate molto care, più che in altre parti della capitale, salvo il Ghetto di Roma.
Perché proprio il Quadraro? Alla fine di marzo del 1944, il comando tedesco per indebolire la Resistenza, che si manifestava nelle periferie romane, decise di anticipare l’ora del coprifuoco alle 16, nei quartieri ove si manifestavano anche sommosse per le difficili condizioni di vita. Forse, la goccia che fece traboccare il vaso, fu un episodio avvenuto il 10 aprile, nel pomeriggio di Pasquetta in una trattoria sulla Tuscolana, dove Giuseppe Albano, noto come il “gobbo del Quarticciolo” assalì con la sua banda alcuni soldati tedeschi, uccidendone tre, e questo provocò la grave ritorsione del comando tedesco di Roma.
L’intero quartiere del Quadraro, fu bloccato in ogni via di accesso in entrata e in uscita, passando al setaccio casa per casa, furono rastrellate circa 2000 persone (tutti uomini tra i diciannove e i sessanta anni) e portate al cinema Quadraro per essere schedate. Dopo ore di attesa, in condizioni disumane, vennero trasferiti a Cinecittà per la selezione, alcuni riuscirono a fuggire e altri scartati vennero arrestati. L’operazione venne giustificata come atto che sarebbe servito per “reclutare” mano d’opera per la Wehrmacht. Solo successivamente, il console tedesco Mollhausen scriverà in un suo memoriale, che il rastrellamento del Quadraro era stato un atto militare di polizia e di controguerriglia.
Le persone reclutate, fra i rastrellati, dopo la “ selezione di Cinecittà” furono 947, portate lo stesso giorno, con dei camion a Grottarossa, poi in treno a Terni e successivamente al campo di transito di Fossoli (Carpi): fu solo l’inizio di un lungo periodo di agonie e sofferenze.
Furono arruolati come “operai italiani volontari per la Germania” e deportati in Germania e in Polonia, costretti a lavorare nei campi di concentramento. Dei deportati solo meno della metà fece ritorno al proprio quartiere del Quadraro.
Questo episodio, a Roma, in quanto a dimensioni, fu secondo solo al rastrellamento del Ghetto del 16 ottobre 1943, con 1.259 deportati, di cui 1.023 di religione ebraica.
Oggi a distanza di anni, dalle drammatiche vicende del Quadraro, si è venuti a conoscenza, che i nazisti intendevano operare rastrellamenti anche in altri quartieri popolari di Roma, tra questi San Lorenzo, Testaccio e Trastevere, per deportare in Germania uomini dai 16 ai 65 anni, per “utilizzare” come lavoratori nella Germania nazista. Ma i piani preparati dal Herbert Happler (comandante della Gastapo di Roma – Polizia segreta del Terzo Reich) per fortuna non furono portati a termine, anche perché le truppe Alleate erano nel Lazio e si avvicinavano a Roma con determinazione, e gli obiettivi strategici e i pensieri dei tedeschi cambiarono: erano rivolti alla imminente ritirata e a preparare nuove linee di difesa nelle regioni settentrionali d’Italia.
La memoria per il rastrellamento del 17 aprile 1944 del Quadraro è viva fra gli abitanti del quartiere e città di Roma, e si rinnova anno per anno, con iniziative promosse da istituzioni e da associazioni, con eventi culturali, spettacoli, filmati, video, street art e testimonianze dei sopravvissuti. Il ricordare significa per molti rendere giustizia dell’eroismo di tanti piccoli e grandi atti di solidarietà sociale, e di rivolta contro la violenza, dove la partecipazione popolare saldò una forte unità fra civili, rifugiati, partigiani, personale medico e religioso. Questo realtà costruita in momenti difficili non fu mai spezzata, fatto storicamente rimarchevole, né dalla tortura, né dalle repressione brutale, né dalle lusinghe di ricchissime ricompense alla delazione.
Il Quadraro è stato insignito, unico quartiere romano, nell’aprile del 2004, in occasione dei 60 anni dal rastrellamento, con la medaglia d’oro al merito civile dal Presidente della Repubblica Ciampi.
Su una grande lapide di marmo, a firma Municipio Roma 6° e 10°, si legge questa scritta: “ In ricordo perenne del rastrellamento del Quadraro da parte delle truppe nazifasciste nella speranza che tutto questo non debba più accadere”.( Lo scorso anno, il 4 giugno 2018, anche il quartiere di Centocelle, ha avuto il riconoscimento, con la medaglia d’oro conferita dal Presidente Sergio Mattarella, per la lotta antifascista).
Nel 2014, 70° anniversario di quei eventi drammatici, nella parrocchia del Quadraro, Santa Maria del Buon Consiglio sulla Tuscolana, in un incontro organizzato con il patrocinio del Municipio VII, è stato ricordata l’opera e la figura di Don Gioacchino Rey, parroco nel periodo del rastrellamento. Una personalità che i testimoni descrivono imponente e vigorosa, che non ha esitato a spendersi per gli altri. Di don Gioacchino, come di tanti altri, si erano perse le tracce come se fosse stato solo un’ombra e non un eroe per gli abitanti del Quadraro.
Certe cose meritano di essere raccontate, perché i testimoni diretti sono sempre meno. Ricordare quello che il parroco ha fatto per i suoi parrocchiani, anche per chi non credeva, per chi non frequentava la parrocchia, che considerava comunque suoi parrocchiani, in quanto abitanti del territorio. “Emblematica la vicenda di questo prete che fece la spola tra il Quadraro e Cinecittà, dove i rastrellati rimasero per ore, per contrattare, portare conforto e benedire, fino a piangere in ginocchio, quando vide partire i camion colmi di prigionieri, e riuscì a salvare il quartiere della progettata distruzione dopo il rastrellamento”. Queste le testimonianze su Don Gioacchino da parte di chi l’ha conosciuto, “ perché vite straordinarie non restino solo ombre”.
Il 17 aprile 2019, nel 75° anniversario dei fatti del Quadraro, dobbiamo ricordare doverosamente il passato, ma pensare che la democrazia e la libertà, si conquistano e si consolidano, giorno per giorno, perché le insidie e i pericoli sono sempre in agguato.