È normale che una crisi nata male, e cioè per intemperanza e presunzione sparse a piene mani dal leader di un partito della maggioranza, incontri sulla strada insidie quotidiane. È normale persino che si registrino i soliti colpi di scena: le contraddizioni sono forti, in effetti, e servirebbe una spiccata capacità di tenere ferma la barra del timone. Ma ciò che non è normale è proprio la sensazione di vuoto che avvolge la strategia – se tale possiamo definirla – del cerchio magico di Conte.

Non si esce dal marasma senza una limpida iniziativa, ora necessaria più che mai vista l’impossibilità di sanare la defezione di Italia Viva con la cattura di consensi improvvisati. Men che meno se ne esce con la configurazione a tavolino di raggruppamenti che appaiono ben lontani da una minima piattaforma di credibilità politica. Per questo, nelle ultime ore, la manovra di Palazzo Chigi è rallentata. Aggiungere confusione a confusione non aiuta il Presidente del Consiglio. Chissà se non rifletta egli stesso sulla debolezza di una scelta, quella della verifica in Parlamento senza ragionevoli garanzie, allorché un di più di coraggio e determinazione, con la formalizzazione della crisi, avrebbe potuto rafforzare il suo profilo di uomo delle istituzioni. A forza di trattare con ironia i riti della Prima Repubblica, si finisce per ignorarne il contenuto di saggezza e verità.

Si è capito che andare avanti alla cieca mina qualsiasi prospettiva di rilancio della leadership di Conte. Una leadership, per altro, che registra l’apprezzamento di parte cospicua della pubblica opinione, tanto che il “partito di Conte” guadagna spazio e consensi nei sondaggi. Anche questo però rientra nel giudizio negativo sull’attacco sferrato da Renzi in un momento così difficile della vita politica nazionale, scegliendo a bersaglio una figura che appare fuori dalla mischia; quanto durerebbe se di colpo fosse stravolta la pittura, sicché a lui, raffigurato finora come Presidente sotto assedio, venisse imputato all’improvviso il disdoro di una oscura ed arruffata conduzione della crisi?

Siamo al punto di svolta. Non è una politica il “chi entra e chi esce”, la retromarcia possibile di Italia Viva o l’impossibile disponibilità dell’Udc, la pazienza e insieme il disagio del Pd, vale a dire il suo sottile desiderio di elezioni anticipate, né infine la vociante sicumera dei grillini, tornati a far festa nei Palazzi; non è con una politica siffatta, cioè, che si sbroglia la matassa di una verifica più complicata del previsto, nonostante abbia risuonato l’appello di Mattarella e Papa Francesco, ciascuno secondo il proprio ufficio, a preservare le ragioni di fondo della coesione civile e morale del Paese. 

Gli ultimi segnali di Palazzo Chigi indicano la volontà di procedere a passo spedito, senza tentennamenti. È giusta questa linea? Certo, è giusta se vale come attestato di rinuncia a ogni tentazione trasformistica, ma non lo è o lo è molto meno se contempla l’esaltazione della sfida per la sfida. Non è detto però che la pubblica opinione ne sia così entusiasta. Conte invece potrebbe decidere di riferire alla Camera e poi tornare al Quirinale per le dimissioni, senza attendere un voto che pure, a Montecitorio, è dato per scontato. Se esiste un margine per ricomporre un quadro, anche con l’auspicio che possa essere arricchito di nuove istanze e nuove energie, è più probabile che esista e si manifesti nel contesto di una crisi formalmente consacrata. A Conte conviene prendere il toro per le corna e compiere adesso un atto di rigore e trasparenza, dopo averne esclusa l’opportunità all’indomani della rottura con Italia Viva.