Gli avvenimenti nel lontano Afghanistan racchiudono vistose e insidiose trasformazioni. L’occidente appare in ritirata, la Cina avanza: in pratica mutano o sono destinati a mutare gli equilibri mondiali. Dovremo guardare con più realismo e avvedutezza agli interessi che sono in gioco.

Pare si possa dire che è finito l’ordine mondiale instaurato dai vincitori della sedonda guerra mondiale. Tornano a comandare gli sconfitti di allora, e ne stiamo già vedendo e sperimentando le conseguenze.

Velleitario appare l’auspicio – da ultimo di Panebianco – di un’alleanza Stati Uniti, Europa (?) e Russia in funzione anticinese. L’Ue non esiste sullo scacchiere globale, esistono Francia e Germania. Il vero asse anti-occidentale è quello formato da Berlino-Ankara-Teheran-Pechino, che mira a sostituirsi a quello anglosassone a cui l’Italia intrinsecamente appartiene.

È ovvio che il cambio di regime in corso a Kabul è destinato a mutare in profondità gli equilibri del Grande Medio Oriente, creando i presupposti per lo scontro diretto tra Russia e Turchia, che rischierebbe di far saltare equilibri non solo regionali.

Restano gli errori della narrativa ufficiale sull’Afghanistan che negli anni non sono stati contestati con il dovuto amore per la verità: anziché accordarsi con i Talebani, gli Usa li incolparono arbitrariamente per l’11 Settembre. E sul ventennio di occupazione occidentale in Afghanistan è scesa la più bieca censura di guerra. Se fossimo nati nelle zone tribali del Pakistan sul confine afghano, e avessimo visto gli abitanti dei nostri villaggi trucidati indistintamente per anni da droni militari telecomandati dal deserto del Nevada, probabilmente vedremo anche noi la ritirata della Nato dal Paese confinante come la fine di un incubo. Soprattutto perché tutto il popolo pakistano (ma anche dell’Asia meridionale dove abita un quinto della popolazione mondiale. ridotto alla fame da una secolare politica coloniale occidentale) percepisce i benefici della, interessatissima, partnership con la Cina, che per Pechino significa sbocco logistico, e in futuro militare, strategico sull’Oceano Indiano.

Questa collaborazione è sfociata nel grandioso piano del Cpec, il corridoio economico Cina-Pakistan che prevede grandi infrastrutture, autostrade, porti, treni veloci, con benefici per tutta l’area circostante, dall’Iran all’Afghanistan ad alcuni stati centrasiatici.

L’entusiasmo con cui i pakistani parlano del Cpec è paragonabile a quello che si nutriva in Italia per il piano Marshall. Ho potuto anche verificarlo di persona in occasione di un incontro bilaterale promosso dal Laboratorio Brics con uno fra i principali think tank governativi del Pakistan, l’ISSI, Instituto di Studi Strategici di Islamabad, per bocca del suo presidente l’ambasciatore Khalid Mahmood, nel quale traspariva la consapevolezza, sempre contenuta e priva di sfumature ostili, di contribuire in tal modo alla stabilità di una delle aree più calde del mondo, molto meglio di quanto hanno fatto le bombe e i droni killer occidentali.

Il lontano Afghanistan, a mio parere, sta lì a dimostrare, in tutti i campi, non solo in quello militare e geostrategico, che non basta un ventennio (noi italiani dovremmo saperlo meglio di altri) di false narrazioni per seppellire la realtà dei fatti: prima o poi questa riemerge e ci presenterà il conto, che potrebbe risultare più salato più si tarda a riconoscerla.