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mercoledì, Febbraio 12, 2025
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Al centro per fare che cosa?

Il nuovo libro di Giorgio Merlo ("Cattolici al centro", Marcianum) stimola un dibattito che tocca alcuni fra i nodi centrali della politica contemporanea.

I saggi di Giorgio Merlo offrono sempre una stimolante prospettiva di analisi e di critica sulle varie stagioni della politica. Non fa eccezione il suo ultimo lavoro intellettuale, “Cattolici al centro”. La presentazione del libro, avvenuta il 15 gennaio scorso a Roma, ha offerto l’occasione per una discussione che ha toccato alcuni fra i principali nervi scoperti del sistema politico italiano, invocando una adeguata risposta politica. Ne cito in particolare quattro.

Il primo, la tensione fra attualità e memoria storica. Con una interpretazione venuta in particolare da Pierferdinando Casini e da Paolo Barelli, nel considerare la parabola storica  della Democrazia Cristiana e del sistema  elettorale proporzionale che l’ha consentita, come una fase straordinaria della storia della Repubblica, a condizione che non si riproponga un sistema elettorale che permetta di nuovo l’esistenza di un centro autonomo. Il primo nodo che è emerso, mi pare dunque, se il dibattito sulla riforma della legge elettorale nel senso del ritorno al proporzionale debba considerarsi definitivamente chiuso oppure se debba essere considerato ancora come una fra le questioni centrali della politica.

Il secondo nervo scoperto che è stato toccato dalla discussione, ha riguardato il modo di intendere il rapporto fra destra e sinistra oggi. A mio avviso, Rosy Bindi ha ragione nel criticare i tentativi di accomunare o gemellare le iniziative di questo fine settimana che si svolgeranno a Milano e a Orvieto. Si tratta di due iniziative di corrente nel Partito Democratico con prospettive culturali e ideologiche nettamente distinte e diverse. L’una sociale, comunitaria, ispirata al patriottismo costituzionale, l’altra liberal-liberista, turboatlantista e con una concezione istituzionale funzionalista.

Mentre credo che la Bindi appaia meno convincente quando traccia una linea di separazione netta del campo politico tra destra e sinistra, con una potenzialmente pericolosa identificazione delle ragioni della sinistra con le ragioni della democrazia, della libertà e della pace, e viceversa della destra con i loro contrari. Non foss’altro perché le vicende storiche hanno smentito e continuano a smentire, questo genere di interpretazione.

Cosicché – ed è il terzo  punto, l’astensionismo record come sbocco del maggioritario – di fronte all’ortodossia bipolarista, riaffermata da Casini, Barelli e Bindi, ha avuto buon gioco Giuseppe Fioroni a mostrare a cosa ci ha condotto l’attenzione solo alle regole elettorali anziché alla rappresentanza e alla sostanza della proposta politica. Ad una condizione di degrado della democrazia in cui il primo partito spesso è quello degli astenuti, senza che ciò preoccupi i partiti attuali che nel loro insieme si sono avviati a rappresentare la minoranza del corpo elettorale.

Allora serve uno scatto per uscire da questa insidiosa situazione di crisi della democrazia – ed è la quarta criticità della politica – , come ha avvertito Giuseppe De Rita, invitando a riscoprire il senso di una politica capace di indicare un cammino, una prospettiva, un “andare oltre” in un mondo che cambia ad una velocità sbalorditiva.

In conclusione, questo nuovo libro di Giorgio Merlo dimostra una grande capacità di aggredire le contraddizioni che frenano l’efficacia del nostro sistema politico democratico e alimentano diffusi sentimenti di disaffezione alla politica e alla stessa democrazia nel momento in cui quest’ultima appare in difficoltà nell’assicurare al maggior numero di persone possibile l’inclusione nella classe media.

Ma allora la direzione a cui guardare non può che esser quella di ridefinire una proposta di centro, pur all’interno, per adesso, dei due poli, che sappia interpretare in modo adeguato i cambiamenti geopolitici e tecnologici in corso, in modo coerente con l’obbiettivo di ridurre le disuguaglianze verso l’alto, riattivando l’allargamento della classe media, di colmare il profondo  deficit della rappresentanza e soprattutto di superare la crisi di una democrazia “liberale”, ristrettasi progressivamente agli interessi delle oligarchie economiche, che peraltro non è neanche quella disegnata dalla Costituzione, dove le istanze sociali e popolari sono considerate inequivocabilmente prevalenti, superiori e prioritarie.