Si è deciso che l’incontro tra Trump e Putin debba essere in Alaska e non a Roma come si era anche inizialmente ipotizzato. C’è una differenza di cultura e di storia tra le due località ed è probabile che la scelta della terra dei ghiacci sia più ragionevole perché in certe situazioni occorre stemperare i bollenti spiriti del confronto.
In questo periodo nello Stato americano siamo attorno ai 12 gradi e, se non ci si sbrigasse a trovare un accordo, d’inverno si raggiungono i -55 gradi andando oltre le procedure di raffreddamento a cui si fa ricorso in questo tipo di vicende.
Il clima potrebbe indurre le parti a trovare velocemente una intesa che ha del singolare. Trump potrebbe partire con un leggero vantaggio psicologico.
Fu la Russia, a corto di pecunia, a vendere agli USA a fine del secolo ‘800 l’Alaska per una modesta manciata di dollari. Diversamente ora potrebbe avere voglia di rifarsi e imporre le sue condizioni per la pace con l’Ucraina.
Zelensky, il convitato di pietra
A questo proposito sembra infatti che non sia previsto il convitato di pietra. Sembra proprio che Zelensky resterà a casa o con il naso schiacciato contro i vetri per capire come si stanno mettendo le cose.
In una celebre opera di Mozart il convitato di pietra è il personaggio del Commendatore che viene ucciso da Don Giovanni. La vittima tornerà in forma di statua per punire il suo assassino rappresentando la giustizia divina.
Un motivo per cui sarebbe bene Zelensky sia presente al gran colloquio essendo difficile immaginare che il diretto interessato sia messo fuori dalla porta in attesa che qualcuno gli dica se vivere o morire.
Il peso eterno della terra
L’Alaska è il paese della “terraferma” che non trema davanti ai compiti che gli sono assegnati, forte della sua natura che la rende gelidamente impassibile di fronte ad ogni avversità.
I leaders si vedranno il giorno di ferragosto, forse volendo dimostrare che loro non tengono conto delle ferie di Augusto e tanto meno si fermano in estasi per contemplare l’assunzione della Madonna in cielo. Loro sono gente di manovra e di sostanza. Hanno da giocare al gran risiko delle terre da spartirsi con il rischio che per chiudere il puzzle manchi un pezzo finale che si è smarrito da qualche parte.
La terra è ciò che è secco, che si contrappone allo scorrere dell’acqua che anche negli stagni soffre comunque di un minimo tremore, un flebile movimento che è segno di vita. La terra è un agguato continuo, può farti restare all’asciutto mentre tenti di possederla. Ti fa morire di arsura. Mentre ti si concede, ti condanna a morte.
È sempre per la terra che gli uomini ingaggiano guerre, occupano spazi, si accalcano in casa d’altri nella certezza che la comodità sia il solo valore a cui ispirarsi. Gli uomini considerano l’oro solo perché è un metallo più raro degli altri, ma resta comunque e solo un metallo al pari del ferro o del piombo. Una zolla è sempre una zolla, dal tedesco “zolle”, una massa compatta di sterco e non molto di più.
Sempre primitivi
La modernità e la tecnologia ancora non ci hanno regalato altra prospettiva che sempre e soltanto l’accumulo di terra. Siamo sempre in attesa, semmai verrà, di una nuova era dove la rotta non sia né la terra e neppure gli spazi celesti ma la quiete dell’animo che richiede ingredienti ancora da accettare e che appaiono allo stato insopportabili.
Abbiamo infettato anche la zanzara West Nile che non si accontenta più di stare in Uganda ma se ne è andata a spasso per il mondo a mietere danni. Siamo ancora, piaccia o no, primitivi e nulla di più.