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domenica, 10 Agosto, 2025
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Alaska, il confine che parla: Trump, Putin e la diplomazia sul ciglio del mondo

Dove due continenti si sfiorano: l’Alaska come palcoscenico simbolico dell’incontro tra storia, natura e diplomazia.

Il prossimo 15 agosto, l’Alaska ospiterà un vertice destinato a occupare un posto nella storia: Donald Trump e Vladimir Putin si incontreranno in questo lembo di terra estrema, il più vicino possibile senza attraversare l’oceano che li separa.

Scelta insolita per la diplomazia, ma perfettamente coerente con la geografia e con la memoria: fino al 1867, queste coste appartenevano all’Impero russo, prima di essere cedute agli Stati Uniti in quella che gli storici americani chiamano “l’acquisto dell’Alaska” e che i contemporanei russi, con meno entusiasmo, descrissero come “la vendita di ghiaccio”.

Lo Stretto di Bering, appena 88 chilometri di acque gelide, è il punto in cui i due Paesi si sfiorano: due continenti che si guardano da lontano, come in una pausa teatrale, senza toccarsi davvero. Non a caso, l’Alaska ha ispirato scrittori come John Muir, che vedeva in queste terre una “cattedrale di ghiaccio”, o Jack London, che nei suoi racconti ha fatto del Nord un palcoscenico di sopravvivenza, sfida e introspezione.

Scegliere l’Alaska significa inscenare un dialogo sul “confine” — non solo geografico ma simbolico. Qui, la natura detta ancora legge: montagne che precipitano nell’oceano, foreste che sembrano infinite, e una luce artica che filtra come una promessa o un avvertimento. È il tipo di paesaggio che, come direbbe Italo Calvino, “non si guarda mai una volta sola”: cambia con il passo dell’osservatore.

Ma l’Alaska è anche un mosaico culturale: terra dei popoli nativi come gli Yupik, gli Inupiat e i Tlingit, che hanno tramandato per secoli miti e saperi adattati a un clima estremo. Le loro storie, piene di spiriti del ghiaccio e viaggiatori instancabili, sembrano dialogare idealmente con l’odierno teatro politico, in cui gli attori arrivano da lontano ma si muovono sotto lo stesso cielo artico. È un luogo in cui il passato coloniale, l’eredità indigena e la geopolitica contemporanea si intrecciano, ricordando che il “confine” non è mai una linea netta, ma uno spazio abitato, vissuto, conteso.

Sul tavolo ci saranno le grandi questioni globali drammaticamente innescate dalla guerra in Ucraina, come la sicurezza europea le relazioni economiche globali, ma il contesto sembra fatto apposta per ricordare che ogni trattativa è anche un viaggio nello spazio dell’altro. E forse l’Alaska, sospesa tra due mondi e due storie, è il luogo ideale per scoprire se il gelo del paesaggio può sciogliere, almeno un poco, il gelo della politica.