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martedì, 29 Luglio, 2025
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Aldo Moro visto con gli occhi dei ciellini

Liberare Moro dal caso Moro di Angelo Picariello – Edizioni San Paolo, con prefazione del card. Zuppi. La recensione, apparsa ieri sul quotidiano vaticano (“Quel «caso Moro» che ha oscurato Moro”), è firmata da Lucio Brunelli.

L’immagine di Aldo Moro rimasta negli occhi degli italiani è quella scattata nel 1978 dai suoi carcerieri: la camicia bianca stropicciata e il drappo rosso con la stella a cinque punte alle spalle; lo sguardo mite e le labbra che abbozzano un sorriso melanconico. Sono trascorsi 47 anni ma Moro è ancora prigioniero delle Brigate rosse.

Un ritratto dimenticato

La sua intera vita, da giovane “fucino” a professore universitario, da padre costituente a leader politico della Dc e statista internazionale è stata tutta risucchiata nei buchi neri del “caso Moro”, sparita dal racconto pubblico. Eppure mai come adesso, in un mondo minacciato dalla guerra dove una politica imbarbarita ha smarrito la dimensione del servizio, sarebbe motivo di consolazione e di speranza per tutti, riscoprirne la figura tutta intera. Viene incontro a questa esigenza un libro di Angelo Picariello dal titolo emblematico: Liberiamo Moro dal caso Moro (Cinisello Balsamo, San Paolo, 2025, pagine 467, euro 28), con una meditata prefazione del cardinale Matteo Zuppi. Si comincia dagli anni giovanili, in Puglia, col padre agnostico e una mamma scomparsa prematuramente che ha trasmesso al piccolo Aldo una fede semplice e profonda.

Il Dio crocifisso sulla scrivania

Fra i tanti episodi poco noti della sua biografia colpisce il racconto dell’ultima sera prima del rapimento: è l’una di notte quando il figlio Giovanni, rientrando a casa, scopre il padre ancora sveglio, immerso nella lettura di uno dei grandi testi della teologia del Novecento: Il Dio crocifisso, di Jürgen Moltmann. La mattina seguente era atteso il voto di fiducia al governo di solidarietà nazionale, di cui Moro era stato l’artefice politico insieme a Enrico Berlinguer; appuntamento storico, che gli era costato incomprensioni e minacce; scelta che aveva saputo far accettare anche ai più riluttanti del suo partito come necessaria, per il bene del Paese. Ebbene, la notte precedente il voto di fiducia, che impressione immaginarlo lì, nella sua scrivania, assorto nella meditazione del mistero della croce di Cristo. Uomo di fede. Tutte le mattine assisteva alla messa. Durante i 55 giorni del sequestro fu una delle mancanze più dolorose: chiese di poter ascoltare la messa alla radio, i brigatisti ne registrarono una e la risentirono mille volte per appurarsi che non ci fossero messaggi obliqui, poi gli permisero l’ascolto. Moro chiese anche dei libri da leggere, gli portarono Il capitale di Marx, lui cortesemente spiegò di averlo già letto e domandò, se possibile, una copia delle lettere di san Paolo che i brigatisti (sorpresi dalla sincerità della sua fede) gli fecero avere.

Giovani, politica e fede: la lezione di Moro

Giornalista del quotidiano Avvenire e autore del bel libro sugli anni di piombo Un’azalea in via Fani (San Paolo, 2019), Picariello dedica un capitolo del suo libro all’incontro di Moro con i nuovi movimenti giovanili che sorgevano nella temperie del ’68 dove, accanto alle contestazioni studentesche, nasceva in alcune realtà di base anche il desiderio di un cattolicesimo meno formale, che rifiutava il moralismo perbenista e desiderava riandare al cuore del Vangelo. Si è parlato di questo aspetto di Moro nella recente presentazione del libro di Picariello nella parrocchia romana di Santa Maria della Speranza. C’erano due testimoni significativi: il deputato Nicodemo Oliverio, ex alunno di Moro nella facoltà di Scienze politiche a La Sapienza di Roma alla metà degli anni Settanta, e don Donato Perron, storico sacerdote di Comunione e liberazione.

Il dialogo con i giovani di CL

Perron ha raccontato della curiosità dello statista democristiano verso il nascente movimento di don Giussani. «Veniva spesso alle nostre messe domenicali a Roma negli anni tra il 1973 e il 1975, ricordo che si intratteneva in particolare a parlare con un nostro seminarista, Tommaso Latronico, di cui è in corso la causa di beatificazione. Moro volle essere presente anche alla sua ordinazione sacerdotale». L’onorevole Oliverio ha invece rivelato il rapporto di amicizia che in quegli stessi anni si era stabilito con i primi universitari del movimento nella facoltà di Scienze Politiche. Moro aveva invitato alcuni di loro alla Farnesina, quando era ministro degli Esteri: desiderava conoscere meglio il neonato movimento di don Giussani.

«Non cercava voti, voleva capire, parlava pochissimo e ascoltava moltissimo» ha raccontato Oliverio. Forse, sostiene Picariello sulla base di diverse testimonianze, tra cui quella preziosa di Saverio Allevato, «a Moro quei giovani ricordavano l’esperienza intensa da lui vissuta nella Fuci, quando assistente dell’associazione era monsignor Montini». Da uomo intelligente e attento alla realtà quale era, capiva che il partito della Democrazia Cristiana non avrebbe avuto un futuro senza un ricambio generazionale che, in forme diverse, fosse ispirato dagli stessi ideali che avevano mosso la sua giovinezza politica.