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sabato, 13 Dicembre, 2025
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Alice ed Ellen, la grazia dell’estraneità

Simbolo di un mondo che scompare, le Kessler furono bellezza “altra”: fascinosa e distante. Stupore, eleganza, un’eco di alterità che l’Italia riconobbe senza mai davvero afferrare.

Eleganza, distanza, meraviglia

Non conosceremo mai i motivi più profondi della scelta di Alice e Ellen Kessler del suicidio assistito. Sicuramente ha influito il peso degli anni. E magari la sensazione sempre più forte, da parte loro, della fine di un mondo.

Le Gemelle sono state percepite da gran parte degli italiani e delle italiane, credo, come artiste, e bellezze, “esotiche”, per quanto l’aggettivo faccia più immediatamente pensare, che so, ai Paesi tropicali che al cuore del Vecchio continente.

Il segreto della loro fortuna, forse, accanto al talento e all’avvenenza, è stato proprio il loro porsi come “straniere”, o “estranee”. Parte dell’Italietta proprio in quanto a essa estranee.

L’alterità che affascina e inquieta

Da alcune e alcuni, probabilmente, la loro “alterità” è stata vissuta come “perturbante”, per dirla con Freud: l’estraneo che ridesta un angolino del nostro cuore; lo straniero che risuona con lo straniero che abita in noi, suscitando un misto di ammirazione e inquietudine.

Bellezze “altre”

Dal canto mio, tuttavia, pur cogliendone il fascino, le sentivo lontane, soprattutto lontane. Bellezze “altre”, da contemplare e con le quali sorridere, ma non tali da promuovere fantasie o desideri. Guardandole danzare o cantare, suscitavano in me stupore, meraviglia – per dirla con il compianto filosofo Enrico Berti, e con Aristotele, naturalmente, “in principio era la meraviglia” –, solo che quello stupore restava tale, senza trasformarsi in desiderio o in un senso di complicità. Trasformandosi però, questo sì, in simpatia.