ALLA DESTRA BISOGNA OPPORRE UN’ALLEANZA DI PROGRAMMA. NEI COLLEGI SERVONO CANDIDATURE UNITARIE.

Le forze politiche che hanno convintamente e lealmente sostenuto il governo Draghi e non lo hanno fatto cadere devono mettere a parte, almeno un po’, i propri specifici interessi e fare qualche sacrificio nell’interesse superiore. L’alternativa è perdere e con essa perdere tutto. Una battaglia solo identitaria, di “centro” o di “sinistra” condurrebbe alla sconfitta. Non c’è neppure il proporzionale, e quindi a maggior ragione non avrebbe alcun senso se non quello di solleticare l’ego di qualche capo-sigla. Dopo, il buio.

 

Enrico Farinone

 

Berlusconi avvia la campagna elettorale promettendo pensioni più ricche, manco fossimo tornati alla vuota sloganistica di 25 anni fa, e tanti alberi da piantumare senza sapere che un programma di riforestazione del territorio è previsto dal PNRR. Salvini ritorna sui suoi cavalli di battaglia, gli stessi da 10 anni a questa parte, e riprende quindi a picchiar duro sui migranti e i loro “barconi”, senza minimamente porsi il problema di come si dovranno gestire a livello europeo le migrazioni future, che rischiano d’essere epocali se la desertificazione provocata dal cambiamento climatico – che iniziamo a sperimentare pure noi a queste latitudini – non verrà bloccata da un radicale mutamento del nostro rapporto con la natura. Meloni ci avverte d’essere una “patriota” e si pone in atteggiamento muscolare e minaccioso contro quella stessa UE che sta dandoci un mucchio di soldi, per noi fondamentali, e altri ancora dovrebbe versarcene. Questi qui secondo tutti i sondaggi vinceranno le elezioni.

 

Ora, qualsiasi persona dotata di senno e non accecata dall’ideologia della Destra e dal suo odio verso tutto ciò che sa di sinistra (incluso quel cattolicesimo sociale impegnato silenziosamente nel servizio al prossimo con opere concrete e senza esporre immaginette votive da mostrare quasi fossero santini elettorali) si rende perfettamente conto che in questa maniera si va a sbattere.

 

Bene, di queste persone fortunatamente in Italia ce ne sono ancora molte. Sono la maggioranza del Paese, altrimenti nonostante tutti i nostri guai e le nostre carenze non saremmo ancora una delle nazioni più ricche al mondo. Sono le persone che, al di là dei propri convincimenti politici, apprezzavano Draghi come capo del Governo vedendolo anche come il garante di fronte all’Europa degli impegni assunti dall’Italia per l’attuazione dei progetti previsti dal PNRR. Queste persone non hanno né gradito né compreso le ragioni per le quali lo stesso Draghi è stato sfiduciato (fra l’altro in modo meschino, senza neppure un voto) dal Parlamento. A queste persone – prive di alcun orpello ideologico o politicista – i partiti che hanno lealmente sostenuto il governo Draghi dovrebbero rivolgersi, mantenendo pure ciascuno di essi la propria originalità politica, ma al tempo stesso costituendo una sorta di rassemblement da presentar loro nei collegi uninominali.

 

So bene che si tratta di un lavoro improbo, e il tempo è scarso. Scarsissimo. Si tratta di raggiungere un accordo politico. E poi di suddividere i collegi su base nazionale ma al tempo stesso avendo l’accortezza di candidare in ognuno di essi personalità locali note e autorevoli e non politici professionisti calati dall’alto. Ma le forze politiche che hanno convintamente e lealmente sostenuto il governo Draghi e non lo hanno fatto cadere devono mettere a parte, almeno un po’, i propri specifici interessi e fare qualche sacrificio nell’interesse superiore. L’alternativa è perdere, e con essa perdere, ogni partito, tutto invece che solo un poco, devoluto all’interesse comune come detto.

 

Si tratta, certo, di superare anche antichi e recenti litigi, incomprensioni e quant’altro nonché gli egocentrismi di leader più o meno davvero tali. Ma questo è un prezzo che questi signori dovranno essere disposti a pagare se realmente credono in ciò che dicono, ovvero che l’interesse dell’Italia è proseguire sulla via delle riforme e della collaborazione europea. Tanto più che alla gente comune dei loro rapporti personali non importa nulla. Assolutamente nulla.

 

Del resto, l’operazione qui proposta non trae forza dalla sommatoria delle diverse sigle, dall’indice di gradimento dei vari capi partito e nemmeno dall’eventuale photo-opportunity che questi ultimi eventualmente faranno con tanto di sorrisi di circostanza. L’operazione qui proposta trae forza, molta potenziale forza, da quanto si diceva all’inizio: dalle persone, dai cittadini, dagli italiani che sono rimasti allibiti da quanto accaduto e che ora sono preoccupati, più di prima, per la propria attività imprenditoriale o professionale, per il proprio lavoro subordinato, per la propria pensione, per i propri risparmi, per la mancanza di impiego per i giovani, insomma per l’andamento della propria vita familiare e individuale. Molti di questi italiani hanno in passato votato anche centrodestra, alcuni si saranno pure astenuti, ma essendo il loro un approccio non ideologico sono ben disposti (ormai abbiamo imparato: l’elettorato degli anni Duemila è mobile) a dare il proprio consenso a chi promette di proseguire il lavoro avviato da Draghi. Garantendo solennemente di essere disponibili a dimostrare con i fatti (ovvero anche con qualche sacrificio in termini di seggi parlamentari) di credere davvero a questo impegno.

 

A qualcuno più smagato questa può apparire una proposta ingenua, ancorché onorevole, ma a costui dico che l’alternativa è la sconfitta. E con essa una torsione regressiva in senso populista e nuovamente ostile alla UE, che produrrà nefaste conseguenze al Paese tutto. Se si parte da una condizione di svantaggio (quella nello specifico che da diverso tempo ci propone ogni sondaggio) per vincere bisogna togliere voti potenziali agli avversari e portarli dalla propria parte. I soli propri voti di appartenenza non bastano. Una battaglia solo identitaria, di “centro” o di “sinistra” (fra l’altro pure essa suddivisa tra diverse sigle) condurrebbe alla sconfitta. Non c’è neppure il proporzionale, e quindi a maggior ragione non avrebbe alcun senso se non quello di solleticare l’ego di qualche capo-sigla per alcune settimane. Dopo, il buio. Ma non solo per questi ultimi, che sarebbe poca cosa. Buio per il Paese, che invece è cosa molto più seria. E grave.