“L’uomo di natura – dice qui, a un certo punto, il famoso psichiatra – non ci piace, il mondo com’è neanche: qui il problema è di porsi il perché non ci piace più né l’uomo né il mondo. Si tratta del preludio di una piccola apocalisse: emerge il tema della ‘distruttività’, la condizione in cui non piacendomi ciò che c’è io spacco tutto, distruggo tutto e vado nel Metaverso. Dove ci può portare questa fuga? A mio parere questo genera la schizofrenia, la dissociazione”.
Di seguito riportiamo la prima parte di questo dialogo-intervista, rinviando al link posto alla fine della pagina per accedere al testo integrale
Francesco Provinciali
Prof. Andreoli trovo che sovente cadiamo nell’errore di cercare intorno a noi, nei beni materiali e nel desiderio del loro possesso lo scopo dell’esistenza, eludendo interrogativi profondi che riguardano invece il senso della vita anche nei suoi aspetti reconditi: le relazioni con gli altri, la fatica che accompagna ogni conquista, il dovere della responsabilità, fino al sacrificio e al dolore. Quali consapevolezze dobbiamo recuperare per nobilitare il nostro essere qui, nel mondo?
Vede, dottor Provinciali, io credo che ci siano momenti in cui forse devono prevalere la gioia, il gioco, la curiosità: insomma c’è anche un tempo per evadere, sono convinto che ci siano occasioni in cui il tempo diventa gradevole per l’esistenza e per l’uomo. Ci sono però situazioni di vita diverse in cui questi aspetti positivi non sono possibili perché bisogna passare dal ‘particulare’ – per usare un’espressione di Vico – al generale e quindi viene un tempo in cui è necessario dedicarsi alla ricerca del significato che ha l’uomo nel mondo e quindi reciprocamente al significato del mondo per l’uomo. In questo consiste la scoperta continua del senso della vita. Mi pare che noi dovremmo “essere dentro” questo tempo, per un motivo molto semplice: viviamo in epoca di crisi. Ora lei sa che ci sono crisi individuali che fanno parte dell’esistenza: ci sono conflitti in una parte che consideriamo positiva e altri che vanno affrontati e risolti. Fino a qualche tempo fa noi consideravamo tutti i conflitti da curare, da risolvere, questa era la lezione appresa da Freud e a lungo mantenuta. Oggi c’è una crisi dell’esistenza per ciascuno di noi: la fatica di vivere, le difficoltà che ci riguardano individualmente. Però ci sono crisi che non possiamo fingere che non esistano, eludendole, perché storicamente si caratterizzano per la loro periodicità: in passato abbiamo avuto due grandi crisi economiche, quella del 1873 – dopo la grande guerra franco-prussiana – e quella del 1929. La prima fu definita del ‘panico’, quella del 1929 della ‘depressione’: l’economia non funzionava e furono usati per descriverle due termini propri della psichiatria. Alla luce di quelle esperienze possiamo dire che oggi c’è una grande crisi economica la cui causa origina certamente dal contesto finanziario mondiale, dal crollo dei subprime in USA nel 2006 ma che ha poi subito l’enorme rallentamento dovuto alla pandemia, ed è la prima volta che accade in epoca moderna. Questa mia premessa – rispetto alla sua domanda – vuole portare a questa conclusione: oggi è finito il tempo del giocare per capire chi siamo, perché se noi affrontiamo i singoli problemi e i bisogni individuali e specifici non arriveremo mai fuori dalla crisi epocale generale che riguarda il mondo. Oggi a me pare che il problema che noi abbiamo finora vissuto come tensione – essendo passati per lungo tempo da quella che Darwin chiamava ‘lotta per la sopravvivenza’, che è centrata sull’alimentazione, sulla difesa del territorio e sulla procreazione per far continuare la specie – riguardava il tema della ‘qualità della vita’ che ha un senso infinito e indefinibile, un mondo aperto dello stare sempre bene. Ora che cosa sta succedendo: che stiamo regredendo dalla qualità della vita alla sopravvivenza, la crisi significa perciò tornare indietro, ai bisogni di un tempo. Alcuni fanno finta che non ci sia la crisi mentre c’è qualcuno che sta male, non ha un posto di lavoro, le banche non gli fanno credito, non arriva a fine mese, non riesce a far fronte agli aumenti dei costi dell’energia, alle bollette da pagare, conseguenze anche della guerra in atto.
In questo contesto esistenziale di crisi e incertezze che Lei descrive possiamo considerare il tema della solitudine, che è come un caleidoscopio di sentimenti: c’è quella cercata per ritrovare se stessi, quella subita che può darci un senso di distacco e umiliazione, quella di chi è marginalizzato e avverte un vuoto di inadeguatezza e incomprensione. Questo stato d’animo, che ha ispirato poeti e artisti, mi pare accentuata negativamente in questa epoca di facilitazione della comunicazione – e questo è un paradosso – anche attraverso l’uso delle tecnologie. Rischiamo di essere fagocitati dai media e di perderci nella babele delle parole e dei luoghi comuni?
La questione posta è interessante e contiene molti spunti: mi permetta di esordire con una riflessione.
Il problema è di entrare nel merito: ‘chi è l’uomo’. Se noi vogliamo l’uomo ‘aumentato’, dandogli la possibilità di vedere in tre dimensioni, di ascoltare i suoni che abitualmente non avvertiamo, di leggere attraverso gli infrarossi dobbiamo allora chiederci: perché lo vogliamo così? Se la risposta è ‘non ci va bene questo mondo’: potrebbe essere questa la risposta. Lei in un suo recente scritto ha approfondito bene e con prudenza il tema del Metaverso: io in linea di principio sono terrorizzato dal Metaverso, ho accettato di andare a fare una relazione ad un convegno, ma ho chiesto un anno di tempo per approfondire. Vogliamo l’uomo aumentato? Un po’ lo abbiamo sempre cercato e voluto tale: lei pensi al tema della sessualità, senza il quale noi psichiatri moriremmo di fame…
Adesso si tratta di capire che se noi vogliamo l’uomo aumentato ciò significa che quello attuale non ci piace.
Lo vorremmo con un occhio dietro il collo per vedere cosa succede alle sue spalle? Con tre gambe?
Allora non ci piace neanche il mondo e per questo inventiamo il Metaverso che è un mondo che non c’è, che noi costruiamo perché vogliamo investire denaro, perché l’economia fa soldi anche nel virtuale.
L’uomo di natura non ci piace, il mondo com’è neanche: qui il problema è di porsi il perché non ci piace più né l’uomo né il mondo. Si tratta del preludio di una piccola apocalisse: emerge il tema della ‘distruttività’, la condizione in cui non piacendomi ciò che c’è io spacco tutto, distruggo tutto e vado nel Metaverso. Dove ci può portare questa fuga? A mio parere questo genera la schizofrenia, la dissociazione.
Io ho vissuto sessant’anni curando la schizofrenia e la dissociazione. Forse non ci sono riuscito? Il fatto che si vada nel Metaverso con il proprio avatar conferma ciò che la psichiatria da tempo ha scoperto: ci sono in noi due “io”. Se io mando nel Metaverso il mio avatar vuol dire che mi sto sdoppiando e devo curare questa dissociazione identitaria.
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Chi è Vittorino Andreoli
Psichiatra di fama mondiale, è stato direttore del Dipartimento di Psichiatria di Verona–Soave ed è membro della New York Academy of Sciences. È presidente del Section Committee on Psychopathology of Expression della World Psychiatric Association. Si oppone fermamente alla concezione lombrosiana del delitto secondo cui il crimine veniva commesso necessariamente da un malato di mente, e sostiene la compatibilità della normalità con gli omicidi più efferati. È autore di libri che spaziano dalla medicina, alla letteratura alla poesia, e collabora con la rivista Mente e Cervello e con il giornale Avvenire. Ha realizzato alcune serie di programmi, con puntate della durata di circa 30 minuti, dedicati agli adolescenti (Adolescente TVB), alle persone anziane (W i nonni) e alla famiglia (Una sfida chiamata famiglia).
Tra le sue opere, pubblicate con Rizzoli, ricordiamo Elogio dell’errore (2012, con Giancarlo Provasi), Il denaro in testa (2012), Le nostre paure (2011), Il rumore delle parole (2019) e Il futuro del mondo (2019). Nel 2014 esce L’educazione (im)possibile. Orientarsi in una società senza padri, e l’anno successivo Ma siamo matti. Un paese sospeso tra normalità e follia. Nel 2016 esce La mia corsa nel tempo, nel 2017 La gioia di pensare. Elogio di un’arte dimenticata (Rizzoli), Uomini di Dio. Un’indagine sui preti e il sacro (Piemme). Nel 2018 esce Il silenzio delle pietre (Rizzoli), Beata solitudine. Il potere del silenzio (Piemme) e Homo stupidus stupidus. L’agonia di una civiltà (Rizzoli). Pubblica poi con Solferino L’uomo col cervello in tasca (2019), Una certa età (2020), Fare la pace (2020), La famiglia digitale 2021, L’origine della coscienza (2021), La Psicologia del noi (2021), Storia del dolore (2022).