In realtà si va oltre la “formula Ursula”, visto che s’intende aggregare assieme al Pd e a Forza Italia anche la Lega. La Tuscia, secondo il coordinatore viterbese di Azione, diventerebbe in questo modo un “laboratorio politico”. L’equivoco s’aggrava per l’assenza di reazioni, almeno finora, da parte del gruppo dirigente del Pd nazionale e regionale. Una grana in più per Enrico Letta.
Gli esami non finiscono mai. Dopo le elezioni comunali, si avvicina la scadenza per il rinnovo dei Consigli provinciali. La riforma Delrio ha trasformato gli enti intermedi in organismi a rappresentanza indiretta, essendo gli eletti il risultato dì un voto riservato ai consiglieri dei comuni facenti parte della provincia. La soluzione si è rivelata infelice dal momento che il debole ruolo una volta esercitato da queste pur nobili e longeve istituzioni, ora ha perduto ulteriormente significato. Poche le risorse attribuite e poche le competenze attivabili sul territorio: più che di una vera riforma, potremmo parlare di una improvvida destrutturazione.
Ciò nondimeno, laddove scatta una competizione elettorale, è fatale che la politica recuperi la sua funzione catalizzatrice. Fingere che il rinnovo degli organi riguardi l’esangue corpo delle province, senza implicazioni di altro genere, è quantomeno poco realistico. C’è sempre qualcosa, o meglio qualcuno, che determina uno scatto di ingegnosità, anche secondo dinamiche non sempre limpide. La parola magica è “laboratorio”, volendo con questo identificare un esperimento locale alla stregua dì una operazione di raffinata intelligenza strategica. Improvvisamente, una provincia appare la quinta teatrale di un grande scenario politico.
A Viterbo, cuore della Tuscia e quindi non lontano dal Campidoglio, l’iniziativa del leader locale di Azione, Giacomo Barelli, assume i connotati di un originale e controverso tentativo di assemblaggio di forze, quasi a mettere alla berlina l’esigua alleanza che ha portato alla vittoria Roberto Gualtieri nella capitale. L’auspicio di Barelli, infatti, “è che le elezioni provinciali diventino quel laboratorio politico che possa finalmente lanciare sul nostro territorio quella maggioranza ‘Ursula’ che a livello nazionale sostiene il governo Draghi e che, attraverso la rappresentanza in consiglio di tutte le forze che faranno parte di questa coalizione, possa, insieme al presidente che verrà eletto, gestire il fiume di denaro pubblico del Pnrr per garantire anche alla Tuscia di vedere realizzata la promessa di una forte ripartenza dell’economia”.
Il proposito generoso sembra tuttavia ascrivibile alla logica dell’ammucchiata, anche perché equilibrio e buon senso vorrebbero che alla difficile navigazione del governo dì larghe intese di Draghi faccia compagnia, a livello di comunità territoriali, una trasparente dialettica democratica, senza il ricorso a camaleontiche collaborazioni. Il punto è che il “laboratorio” viterbese dovrebbe, se le parole hannno un senso, sprigionare energie in direzione di esperimenti a più largo raggio. Come evitare la caduta nel trasformismo, è davvero un mistero! Ma un mistero che pare sedurre, visto il silenzio che circonda l’uscita del “calendiano” Barelli, quasi che i vertici regionali (Astorre) e nazionali (Letta) del Pd non ponessero mente a questi problemi.
Eppure Letta, smentendo la Federazione romana, ha fatto presto a occuparsi del caso di Ostia, per cercare evidentemente di mettere un freno alle polemiche sulla formazione della mini-giunta municipale. Bene, ora però non deve girarsi dall’altra parte, e con lui nemmeno il segretario regionale del Pd: si tratta di capire se il ricorso alla “formula Ursula”, utilizzata alla bisogna per garantire la consociazione di “draghetti” premurosi, con il cuore e la mente affissi alla calibrata distribuzione delle risorse provenienti dal Pnrr, sia l’orizzonte entro cui si muove la classe dirigente di un partito impegnato a rinnovare se stesso e, quindi, a rinnovare nel complesso la vita politica del Paese.