Roma, 6 ago. (askanews) – I ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano non hanno mai “personalmente” addotto il pericolo paventato dall’Aise di ritorsioni ai danni di cittadini italiani ed interessi nazionali in Libia “a giustificazione del loro operato”. Lo annotano le giudici del tribunale dei ministri negli atti trasmessi alla Camera per chiedere l’autorizzazione a procedere nei confronti dei componenti del governo indagati per la vicenda Almasri. Dalla documentazione arrivata in Giunta a Montecitorio, emerge, tra l’altro, che la giustificazione che le azioni dei componenti del governo indagati siano state dettate dallo stato di necessità per timore di ritorsioni è stata sostenuta espressamente soltanto in una recentissima memoria difensiva consegnata solo il 30 luglio scorso, quando la chiusura dell’indagine era agli sgoccioli.
“In particolare – si legge nella documentazione consultabile sul sito della Camera – ciò non emerge dalle motivazioni espresse in alcun atto. In occasione dell’informativa in Parlamento del 5 febbraio 2025, mentre il Ministro Nordio ha fatto riferimento solo alla presunta illegittimità del mandato di arresto ed alla irritualità della procedura seguita in Italia per darvi esecuzione, il Ministro Piantedosi ha esordito dicendo: ‘smentisco nella maniera più categorica che nelle ore in cui è stata gestita la vicenda il governo abbia mai ricevuto alcun atto o comunicazione che possa essere anche solo lontanamente considerato una forma di pressione indebita assimilabile a minaccia o ricatto da parte di chiunque'”.
“Nella memoria depositata il 25 febbraio 2025 a firma degli indagati per la prima volta è stato introdotto il tema dei pericoli paventati dall’intelligence a sostegno del giudizio di pericolosità sociale di Almasri, lasciando intendere che tale informativa ricevuta sarebbe stata considerata come ulteriore ma non esplicitato presupposto del decreto di espulsione”. Tuttavia, solo con la memoria depositata dalla difesa il 30 luglio 2025 è stato sostenuto espressamente che “i dati acquisiti dimostrano l’esistenza nel caso in esame dello stato di necessità, come enunciato dall’articolo 25 del ‘Responsability of State for International Wrongful Acts 2001’ della International Law Commission delle Nazioni Unite, circostanza che legittima sul piano del diritto interno, le condotte di tutti i rappresentanti del governo italiano coinvolti nel presente procedimento”.
La norma invocata dalla difesa dei componenti del governo indagati, in sostanza, consente la violazione di un obbligo internazionale in alcuni casi a meno che l’atto “non pregiudichi seriamente un interesse essenziale della comunità internazionale”. Secondo il tribunale dei ministri, invece, la vicenda Almasri rientra proprio in questa eccezione perché “ha pregiudicato seriamente un interesse essenziale della Cpi e quindi della comunità internazionale nel suo insieme perché ha consentito al ricercato Almasri, destinatario di un mandato di arresto emesso dalla stessa Cpi, di sottrarsi alla cattura e al processo”.