La Corte costituzionale turca riconosce due decisioni della Corte europea critiche per il mancato rispetto dei diritti. Una battaglia legale avviata da una famiglia, contraria alla frequenza obbligatoria dell’ora di religione musulmana alla figlia. Attacchi dalla fazione conservatrice ed esponenti di governo. Dubbi sulla futura applicazione della sentenza.
Una sentenza che, se non si può definire storica, certo va registrata per la sua importanza in tema di libertà religiosa in Turchia, dove anche nel recente passato si sono registrati episodi controversi e in cui lo stesso presidente Recep Tayyip Erdogan si fa portavoce di una politica nazionalismo e islam. Nei giorni scorsi la Corte costituzionale ha riconosciuto due precedenti sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, che criticava Ankara sui principi e contenuti dell’istruzione religiosa obbligatoria ai minori. I supremi giudici hanno dunque stabilito che forzare l’educazione a una fede – obbligando a seguirne le lezioni – bambini e giovani contro la volontà dei genitori è una palese violazione dei diritti.
Tuttavia, analisti ed esperti avanzano dubbi sul fatto che il governo accoglierà la decisione. E adeguerà il proprio indirizzo politico adempiendo alle indicazioni contenute nella sentenza.
La decisione della Corte costituzionale è frutto di una lunga battaglia legale iniziata oltre 10 anni fa da Huseyin El, che ha lottato a lungo per evitare che la figlia frequentasse lezioni di religione musulmana. Il preside dell’istituto ha insistito affinché Nazli Sirin El, all’epoca studentessa di quarto grado, seguisse i corsi perché solo cittadini cristiani ed ebraici potevano beneficiare dell’esenzione. La famiglia della ragazza segue l’alevismo, una delle molte sette dell’islam che – fra gli altri – celebra i riti nelle case assembleari (cemevi), più che nelle moschee.
Ad al-Monitor l’avvocato Esra Basbakkal, legale della famiglia, spiega che “costringere un genitore a rivelare o documentare la sua fede è una violazione dell’art. 24 della Costituzione” secondo cui “nessuno può essere costretto a rivelare credenze e convinzioni religiose”. Il tribunale di primo grado 13 anni fa ha sentenziato a favore della studentessa in base alle leggi nazionali e alle convenzioni internazionali. Ma il ministero dell’Istruzione si è appellato al Consiglio di Stato, che ha ribaltato la decisione. Nel 2014 la controversia è arrivata sul tavolo della Corte costituzionale: a distanza di otto anni, il verdetto secondo cui l’obbligo di frequenza alle lezione di fede musulmana sono una violazione dei diritti umani e della famiglia di scegliere il percorso educativo dei figli.
“Una decisione troppo a lungo rimandata, ma che va nella giusta direzione” commenta Orhan Kemal Cengiz, avvocato pro diritti umani che ha seguito nel tempo la vicenda della famiglia El e altre due storie simili. “I tribunali locali – aggiunge – spesso ignorano le decisioni della Corte europea, ma ora devono prestare attenzione a quelle della Corte costituzionale”. Diversi i commenti della fazione radicale e conservatrice; critiche giungono anche da esponenti del partito di governo sebbene le più alte cariche, presidente compreso, per ora non hanno commentato. Il quotidiano ultra-conservatore Yeni Akit definisce uno “scandalo” la scelta dei giudici costituzionali. Mehmet Akif Yilmaz, membro del Partito di Giustizia e sviluppo (Akp) e membro della Commissione per l’istruzione, definisce un “tradimento” stabilire che lezioni di religione “in questa terra benedetta dall’islam” possano essere giudicate una “violazione ai diritti umani. La nostra gente – aggiunge – non permetterà un simile tradimento” dei valori.
Le classi di religione erano facoltative fino al golpe militare del 1980. Il governo dei generali guidato da Kenan Evren ha stabilito l’obbligo della frequenza, con lo scopo di controllarne l’insegnamento ed evitare derive radicali o fanatiche inserendolo nella Costituzione del 1982. In realtà, le classi hanno per lo più alimentato un islam sunnita che ha esasperato il disagio di molti studenti e genitori laici, che chiedevano più storia delle religioni e meno precetti islamici.
L’ora di religione obbligatoria è una cartina di tornasole per misurare lo stravolgimento dei valori laici in materia di istruzione, rispetto ai primi governi repubblicani. Una escalation che si è andata rafforzando con l’ascesa al potere dell’Akp nel 2002 e l’introduzione di un nuovo sistema scolastico nel 2012 con altri corsi “opzionali”: Corano, Vita del profeta Maometto e Conoscenza religiosa di base. Nella maggior parte dei casi sono diventati obbligatori, perché non vi erano alternative. Per l’avvocato Basbakkal, la scelta migliore sarebbe quella di renderle volontarie ma, vista la posizione del governo, sembra assai improbabile un simile, per quanto auspicato, cambiamento. A settembre, Diyanet (il ministero per gli Affari religiosi) ha annunciato l’intenzione di introdurre corsi obbligatori di Corano ai bambini in età prescolare e sono allo studio corsi pilota in diverse città.