ArcipelagoMilano | Pillole di storia: il contributo di Milano alla vita dell’Anci.

Il cammino per arrivare alla fondazione dell’Associazione era stato lungo. Nel 1915 Sturzo e Caldara vengono nominati vicepresidenti. Sciolta dal fascismo, l’Anci fu rifondata nel 1946 a Roma.

Ottobre 1901, Parma, il sindaco di Milano, il radicale Giuseppe Mussi, gran maestro aggiunto del grande oriente (gran maestro era Ernesto Nathan che sarà sindaco di Roma), viene eletto presidente della costituenda Associazione Nazionale Comuni Italiani.

Nel programma della 3 giorni, serata di Gala al teatro Regio con la Tosca diretta dal celebre Cleofonte Campanini, spettacoli di prosa, banchetto ufficiale, visita a Salsomaggiore.

A dispetto dell’immagine un po’ godereccia del programma, l’associazione nasceva in un clima politico vivace, da una parte era in contrapposizione ad un tentativo analogo promosso dai sindaci liberali di Verona e Firenze, dall’altra aveva un connotato fortemente di sinistra e antigovernativo con l’obbiettivo di “tutelare i comuni, giuridicamente e moralmente dalle illegali sopraffazioni del potere centrale”, come scriveva Salvemini su Critica Sociale; un connotato anti romano che non era però condiviso dai non socialisti cioè radicali, repubblicani, massoni, che costituivano la maggior parte dei fondatori.

Il cammino per arrivare alla fondazione dell’associazione era stato lungo, i primi congressi di sindaci risalgono al 1879 e al 1884 a Torino, poi nel 92 e nel 94 a Perugia con Francesco Fazi ma molti altri ve ne furono.

Con Mussi vengono eletti Vicepresidenti il radicale Mariotti, sindaco di Parma leader della componente moderata e il repubblicano Martino sindaco di Messina.

Segretario dell’associazione e direttore della rivista l’Autonomia comunale che si pubblicherà fino al 1925, l’avvocato Emilio Caldara futuro sindaco di Milano, città che fu anche scelta come sede dell’associazione, dove restò per 16 anni. Ogni comune aveva diritto a un voto a prescindere dal numero di abitanti e dalla dimensione.

Mussi pragmaticamente definirà così l’azione dell’ANCI: “Molti credono che la nostra iniziativa non sia necessaria, e meglio sia che volta per volta i Comuni si rivolgano allo Stato per impetrare umilmente qualche provvedimento. L’azione del comune isolato non raggiunge mai il suo fine quando trattasi di un Comune piccolo e debole. Potrà ottenere molto quando trattasi di qualcuno di quei grossi Comuni, che si appoggiano all’influenza di potenti individualità politiche e allora il vantaggio di alcuni elementi del Comune va tutto a detrimento della sua libertà. Pertanto, credo sia necessario unire tutte le forze comunali e presentare queste domande allo Stato: legale sviluppo della nostra vita, sgravii delle nostre finanze.”

La connotazione di sinistra si perse rapidamente, sostituita da una maggioranza centrista con l’ingresso di molti liberali e dei cattolici, tant’è che don Luigi Sturzo, vicesindaco in quel di Caltagirone fu eletto in direzione e dal 1906 la maggioranza dell’associazione fu sempre moderata.

Il principale successo fu ottenuto nel 1907 quando grazie anche ad una petizione firmata da migliaia di amministratori, l’ANCI ottenne dal Governo Giolitti la fondamentale legge 116 che prevedeva il passaggio allo stato di molte spese che avevano appesantito i bilanci e nei fatti impedito la piena operatività dei comuni. 

Al congresso di Firenze del 1907 il sindaco, Ippolito Niccolini, sottolineò l’unità dei Comuni italiani in difesa della propria autonomia al di là delle distinzioni politiche e della collocazione geografica; la pace tra le diverse anime politiche però durò poco.

Presidente dell’associazione dal 1906 al 1914 un consigliere e assessore a Palazzo Marino di lunga data e poi sindaco di Milano: Emanuele Greppi; da una sua idea viene elaborato il progetto di un organismo istituzionale, il Consiglio superiore dei comuni, espressione dell’autonomia comunale che avrebbe dovuto regolamentare il potere dello stato in materia di scioglimento dei comuni, potere spesso usato da Giolitti a soli scopi politico elettorali.

Il progetto, riproposto più volte e modificato fino al 1925, scrive Oscar Gaspari autore di Dalla Lega a Legautonomie, verrà ripreso ufficialmente nel 1958 con il nome di Consiglio superiore degli enti locali per poi trasformarsi nel 1996 nella Conferenza Stato-Città e Autonomie locali.

Il fatto che un conservatore come Greppi che a Palazzo Marino era stato il nemico giurato del liberale progressista Ettore Ponti per non parlare di Caldara, che aderirà fin dagli esordi ai fasci milanesi, che da senatore fu nel 1925 uno dei protagonisti della commissione di studio delle riforma costituzionali, che definì la sua politica da assessore alle finanze “invernale” per contrapporla a quella spendacciona dei suoi predecessori, potesse essere anche strenuo difensore dell’autonomia dei comuni, conferma che accanto al municipalismo socialista tante volte celebrato esisteva anche un municipalismo conservatore, anticentralista non meno significativo che periodicamente affiora nella politica italiana. 

Scrive la Treccani: Greppi “intervenne nel 1909 a proposito del progetto giolittiano di revisione della legge comunale e provinciale, auspicando che, più che con parziali ma inefficaci ritocchi, si procedesse a una riforma organica. Come agenda di tale rielaborazione legislativa egli suggeriva alcuni aspetti: la definizione dei poteri del sindaco, le attribuzioni del commissario prefettizio, la natura dei reciproci rapporti tra sindaco e giunta e, in generale, un riassetto delle finanze comunali e della relativa gestione”.

Nel 1908 fu fondata l’UPI l’unione delle provincie, tra le due associazioni i rapporti furono chiari fin dall’inizio: la maggioranza dei sindaci quale che fosse l’orientamento politico era favorevole all’abolizione delle provincie, a oltre 100 anni di distanza credo che nulla sia cambiato.

Sempre durante il mandato di Greppi, sponsorizzata dall’ANCI, fu fondata la Federazione delle aziende municipalizzate italiane. Dal marzo 1903 quando fu approvata la legge, proposta da Giolitti, sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni che favoriva l’assunzione di numerose attività di servizio pubblico da parte dei comuni (gas, energia, trasporti, acqua, nettezza urbana, refezione scolastica) consentendo loro di adottare autonomamente le forme di gestione potendo scegliere tra le gestioni dirette con le aziende speciali o in economia e quelle indirette, tramite le concessioni a imprese private, le municipalizzazioni furono al centro delle politiche comunali, senza necessariamente una connotazione politico-ideologica, che avranno solo successivamente, quando il tema diverrà il discrimine tra rivoluzionari e conservatori da una parte e riformisti dall’altra.

Nel 1915 don Sturzo e Caldara (nel frattempo eletto sindaco di Milano) vengono nominati vicepresidenti dell’associazione assieme al liberale Dario Franco mentre a sostituire Greppi venne scelto Piero Lucca sindaco di Vercelli.

Nel 1916 la sede dell’associazione viene trasferita a Roma; non era solo un cambio geografico era anche un segnale di voler intensificare le relazioni con il potere centrale non più visto solamente come un “oppressore”, che anzi rispondendo alle richieste dell’ANCI apriva un segretariato per i comuni di montagna (oggi UNCEM) e l’Istituto nazionale per le opere pubbliche dei comuni il cui compito era quello di “assumere in sostituzione e nell’interesse degli Enti locali l’esecuzione delle opere pubbliche di competenze dei comuni e dei Consorzi…”.

La parabola dell’ANCI fu rapida.

 

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