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venerdì, 22 Agosto, 2025
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Armenia e Azerbaijan, la pace firmata a Washington inquieta Mosca

La notizia è rimasta un po’ in secondo piano, non percepita appieno dalla pubblica opinione. L’accordo chiude la contesa sul Nagorno Karabakh ma apre nuovi scenari geopolitici che coinvolgono Russia, Iran e Turchia.

Soverchiata dagli incontri di Anchorage prima e di Washington poi, la notizia dell’intesa firmata alla Casa Bianca – con grande sfoggio di piena soddisfazione esibita da Donald Trump – fra Armenia e Azerbaijan è rimasta un po’ ai margini delle cronache internazionali pur essendo di grande importanza. Perché se l’accordo raggiunto si svilupperà come previsto davvero si sarà conclusa una contesa ultradecennale costata centinaia di vite umane e l’esodo di una intera popolazione, quella di origine armena del Nagorno Karabakh. Un accordo, inoltre, che reca con sé effetti geopolitici di natura regionale affatto secondari.

La Trump Route” e il nuovo corridoio

Facciamo ordine. Dapprima i fatti: il presidente azero Ilham Aliyev e il premier armeno Nikol Pashinyan hanno sottoscritto un documento, denominato Roadmap for Peace, che supera i contrasti esplosi da ultimo nel 2023, quando l’Azerbaijan costrinse con la forza allo scioglimento l’autonominata Repubblica del Nagorno Karabakh, un territorio abitato da persone di etnia armena ma collocato all’interno dell’Azerbaijan. L’intesa ruota intorno alla creazione di una rotta terrestre che collegherà l’Azerbaijan alla propria enclave di Nackhchivan attraversando l’Armenia per circa 40 km.

In omaggio al mediatore i due ex avversari hanno denominato questa futura arteria commerciale nientemeno che Trump Route for International Peace and Prosperity e hanno proposto il Presidente USA per il premio Nobel per la Pace (ormai una fissa, per Trump). Un investimento infrastrutturale i cui diritti di sviluppo verranno affidati agli Stati Uniti, che mettono così un piede sulla scacchiera caucasica già dominio sovietico. Ed è questa la novità rilevante in termini geopolitici.

 

Le reazioni di Ankara e Teheran

Infatti la cosa non è affatto piaciuta a Mosca. Ma neppure a Teheran e Ankara. Per quest’ultima, alleata di Baku e rafforzata dagli eventi del 2023, l’intromissione dell’alleato americano è un possibile problema perché ne limita le ambizioni regionali, trattandosi evidentemente di una presenza ingombrante.

Per l’Iran il motivo dell’irritazione è addirittura ovvio, e nello specifico Teheran minaccia un intervento per “bloccare” il corridoio immaginato dall’accordo (“questo passaggio non diventerà un cancello per i mercenari di Trump, diverrà la loro tomba”) invitando al contempo con toni duri l’alleato moscovita a muoversi a sua volta e a non rimanere immobile di fronte a quella che viene ritenuta una grave provocazione.

 

La Russia e lombra dellUcraina

La Russia, pur non esprimendo esplicitamente il proprio fastidio, ha in effetti già reagito: nei confronti dell’Azerbaijan, con il quale i rapporti erano migliorati proprio in seguito al non intervento a supporto di Erevan nel 2023. E qui entra in ballo, manco a dirlo, l’Ucraina. Già, perché Baku ha siglato con Kyiv un accordo per fornitura di gas, condotto dal Caspio verso ovest attraverso la pipeline TransBalkan.

E questo per Mosca è chiaramente un affronto. Al punto che alcuni droni russi, nell’ambito di un attacco su Odessa, hanno colpito (volontariamente? nessuno lo ammette ma tutti lo pensano) i depositi ivi presenti della compagnia petrolifera statale azera SOCAR. E, ancora, al punto che a Mosca si sia levata più d’una voce reclamante un embargo per i prodotti azeri e, addirittura, l’avvio di una “operazione militare speciale” anche nel Caucaso.

Una minaccia lasciata filtrare attraverso personaggi minori, che però offre l’idea di quanto le novità prospettate dall’intesa firmata a Washington possano generare importanti novità in quel quadrante geografico ex sovietico. Termine, quest’ultimo, che dopo l’esibizione in felpa del Ministro degli Esteri Lavrov non pare più improprio tornare a utilizzare.