AsiaNews | Cina, i costi umani della rivitalizzazione delle campagne.

Di recente sono apparse notizie che fanno pensare a una ripresa delle demolizioni forzate dei villaggi rurali nella provincia orientale dello Shandong. Di seguito un ampio stralcio del pezzo pubblicato sull’agenzia AsiaNews.

Silvia Torriti

[…] Considerata il fiore all’occhiello della “strategia di rivitalizzazione delle campagne” (xiangcun zhenxing zhanlüe), essa prevede la distruzione di interi villaggi rurali e il conseguente dislocamento degli abitanti in moderne e più grandi “comunità” (shequ), costruite ai margini di città medio-grandi. Questi nuovi insediamenti, composti da blocchi di appartamenti o agglomerati di abitazioni indipendenti, dovrebbero comprendere tutti i servizi necessari, come ospedali, scuole, ospizi, stazioni di polizia e zone di raccolta dei rifiuti. Lo scopo annunciato della “fusione dei villaggi” è infatti quello di accelerare il naturale processo di urbanizzazione, promuovere la modernizzazione delle aree rurali e l’economia locale, migliorare il tenore di vita dei contadini.

È con queste intenzioni che nell’ottobre 2019 le autorità dello Shandong avevano lanciano un ambizioso piano che prevede l’accorpamento di un quinto dei 70mila villaggi amministrativi tradizionali presenti nel suo territorio, da completarsi entro la fine dell’anno successivo.

Durante la sua attuazione, tuttavia, sono stati commessi numerosi errori ed eccessi a danno della popolazione rurale, coraggiosamente denunciati da alcuni ricercatori e docenti universitari cinesi. Tra questi, He Xuefeng, noto sociologo dell’Università di Wuhan, nel descrivere le sofferenze arrecate da questa misura ai contadini, giunge perfino a definirla “il Grande balzo in avanti dei tempi moderni”. In effetti, la pratica della “fusione dei villaggi” ricorda la politica maoista sotto vari aspetti, a partire dalle modalità con cui è condotta. 

Le testimonianze raccolte dagli studiosi cinesi hanno rivelato infatti gravi casi di violenza e abuso di potere da parte dei quadri locali che, spinti anche dal tornaconto personale, costringono i residenti a firmare i contratti di demolizione delle proprie abitazioni. Le famiglie che si rifiutano di farlo, sono etichettate come “sabotatrici” (dingzihu) e sottoposte a terribili ritorsioni, come essere private delle utenze domestiche, subire atti vandalici alle case o ai raccolti. Alcuni oppositori sono stati perfino picchiati o arrestati, mentre altri sono stati licenziati o costretti a interrompere la propria attività lavorativa a causa delle pressioni subite.

Spesso l’avviso di demolizione giunge in maniera così inaspettata da non lasciare alle famiglie neppure il tempo di prelevare dalle case i propri beni, che restano sepolti sotto le macerie. Un’altra pratica diffusa è quella del “prima distruggere, poi costruire” (xian chai hou jian), per cui le abitazioni dei residenti rurali sono abbattute prima che ne siano state predisposte di nuove, lasciando loro poche opzioni: appoggiarsi presso amici o parenti, cercare un appartamento in affitto o arrangiarsi in alloggi di fortuna, come semplici capanne di paglia e fango o tende allestite ai margini degli appezzamenti di terra.

Seppur fatiscenti, talvolta tali sistemazioni sono comunque preferibili a quelle nelle moderne comunità rurali. Una volta trasferitisi nei nuovi appartamenti, infatti, le famiglie devono provvedere personalmente all’acquisto dei mobili, degli arredi, degli elettrodomestici e al pagamento delle varie utenze, dal momento che i governi locali dello Shandong non sono in grado di provvedere al pagamento dei sussidi previsti. A tal proposito un contadino originario di Juancheng (prefettura di Heze) ha ammesso: “Non mi piace la nuova casa […] Dobbiamo spendere soldi da quando apriamo gli occhi al mattino. Nel villaggio eravamo soliti attingere l’acqua da un pozzo e cuocere il riso con la legna da ardere che raccoglievamo. Ora dobbiamo pagare per l’acqua anche quando tiriamo lo sciacquone, o per l’energia elettrica quando cuociamo […]. È così insolito […] e poi non abbiamo soldi. È facile sopravvivere nel villaggio senza troppi soldi”.

Allontanarsi dal villaggio d’origine significa poi dover rinunciare alla propria attività lavorativa, in quanto la distanza non permette più ai residenti di occuparsi come prima della produzione agricola. Per questo motivo, in molti sono costretti a cedere i diritti d’uso degli appezzamenti coltivati, divenendo a tutti gli effetti dei “contadini senza terra” (shidi nongmin). Tale decisione comporta una rinuncia a quella che è considerata la loro principale fonte di guadagno e, sebbene ottengano un compenso dalla cessione dei diritti d’uso, questo non sarà sufficiente ad assicurare a lungo il loro sostentamento. Per di più, non hanno la garanzia di trovare subito un’occupazione nella località dove andranno ad abitare o nelle sue immediate vicinanze.

 

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