9.8 C
Roma
mercoledì, Febbraio 12, 2025
Home GiornaleAutunno delle democrazie? Non possiamo fare finta di niente.

Autunno delle democrazie? Non possiamo fare finta di niente.

Sarebbe molto preoccupante se all’autunno di cui parliamo dovesse seguire un inverno ancor più gelido per le istituzioni, a quel punto definitivamente considerate inutili se non proprio dannose per il nuovo conducator.

È venuto il tempo di guardare in faccia la realtà, per quanto essa possa non piacere. L’impetuosa avanzata nelle prime due decadi del nuovo secolo della rivoluzione digitale che si era annunciata nelle ultime due dello scorso sta mutando in profondità – oltre a numerose modalità con le quali si estrinseca la vita quotidiana dei singoli e delle comunità – l’esercizio della democrazia nelle società occidentali.

Il crescente aumento dell’astensionismo elettorale è l’epifenomeno del progressivo indebolimento dei partiti, sempre più ridotti a mera cornice organizzativa (e a volte nemmeno quella) del leader di turno che diviene l’unico punto di riferimento, l’unico motivo per cui quel partito e non un altro viene votato; della radicalizzazione dello scontro veicolata attraverso i social media, strumenti unidirezionali che si alimentano quasi esclusivamente di toni urlati, settarismi, false notizie, banalizzazioni o, quando va bene, di semplificazioni che respingono ogni possibilità di analisi e di  riflessioni più accurate, più informate, più attente; dell’inquietante appassimento presso l’opinione pubblica di quel sentimento di rispetto nei confronti degli istituti democratici di rappresentanza, di garanzia, di controllo che per decenni hanno costituito l’essenza dello stato di diritto in favore  di una più immediata e semplice esaltazione della funzione di comando esercitata, appunto, dal leader: che deve mostrare i tratti del decisionismo e ora, sempre più, anche del radicalismo che lo ha condotto al potere. E che instaura un suo personale rapporto diretto con il cittadino-elettore utilizzando in massimo grado tutti gli strumenti tecnologici a disposizione senza dover più transitare attraverso l’intermediazione giornalistica e, sempre più spesso, neppure quella istituzionale.

Conta solo, o comunque soprattutto, il “fare” del leader, che diviene “capo” del Governo e sempre meno “Presidente del Consiglio” secondo il dettato costituzionale italiano o anche, se si vuole, “Premier”, secondo il costume di altri paesi. Sposando così una logica presidenzialista all’americana che ora il trumpismo vuole ulteriormente radicalizzare, sino a scuotere dalle fondamenta il è. virtuoso equilibrio garantito dalla separazione dei poteri e dal meccanismo checks and balances, pesi e contrappesi. La via italica al perseguimento di questa logica pare essere, nelle intenzioni di Giorgia Meloni e della maggioranza parlamentare che la sostiene, il premierato: una variante che ha comunque il medesimo obiettivo, ossia il predominio del leader, osannato dal pubblico secondo un canone populista che prevede altresì la riduzione ai minimi termini della partecipazione politica, inclusa quella elettorale. Una implicita delega di “pieni poteri” al leader affogata in una sostanziale indifferenza nei confronti della democrazia e dei suoi istituti, a cominciare da quello della rappresentanza parlamentare. Ma questo disinteresse, questo abbandono preludono alla morte della democrazia, che si ridurrebbe, così svilita e impoverita, ad una “democrazia di fantasmi” secondo la cruda espressione utilizzata dal Presidente della Repubblica poche settimane fa.

Come qualcuno ha detto, siamo entrati nell’autunno della democrazia. Sarebbe molto preoccupante se ad esso dovesse seguire un inverno ancor più gelido per le sue istituzioni, a quel punto definitivamente considerate inutili se non proprio dannose per l’esercizio del comando da parte del nuovo conducator, del nuovo dux.