Fonte Agensir a firma di Andrea Regimenti
“Essere popolo per tutti vuol dire sapere che la nostra vocazione, che è anche la nostra identità, è quella di camminare insieme a chiunque”. Ne è convinto Matteo Truffelli, presidente nazionale dell’Azione cattolica (Ac), impegnato in questi giorni a Chianciano Terme nel convegno delle presidenze diocesane. Un’occasione per riflettere “sul tema della fraternità come categoria unificante, attraverso la quale l’Ac intende declinare il tema del popolo ‘civile’ poiché ‘il primo nome di cristiani è fratelli’”. A margine dell’evento il Sir lo ha intervistato.
Presidente, cosa vuol dire oggi essere un popolo per tutti, riscoprirsi fratelli e stare nella realtà del nostro tempo?
“Essere popolo per tutti vuol dire sapere che la nostra vocazione, che è anche la nostra identità, è quella di camminare insieme a chiunque, a quella che nel Vangelo viene chiamata ‘la folla’.
Camminare insieme a persone di ogni età, condizione sociale e culturale, credenti e non credenti, prendendoci cura della vita concreta e dei bisogni più profondi della loro esistenza.
Consapevoli del fatto che tutti questi bisogni hanno alla radice una necessità fondamentale: riscoprire dentro la vita la presenza del Signore. Se essere ‘popolo per tutti’ significa quindi aiutarci reciprocamente a riscoprire la presenza del Signore, esserlo come fratelli implica invece una seconda domanda fondamentale, quella che il Signore pone a Caino: ‘Dov’è tuo fratello?’. Questa domanda deve guidare ogni nostra riflessione e ogni nostro programma di vita, ovvero cosa fare per essere dove sono i nostri fratelli, per scoprire in ciascuno il volto di un nostro fratello, compreso chi è diverso da noi.
Il fratello è anche l’altro.
Questo ha una valenza ancora più particolare nella dimensione della città, perché è lo spazio in cui la fraternità va scelta, non te la ritrovi come famiglia”.
Questa è una prerogativa che spetta solo ai cattolici?
“Non è chiaramente una prerogativa esclusivamente cattolica. È un elemento che nasce dal desiderio di convivere, del vivere bene insieme. In questo senso
la dimensione della fraternità diventa fondativa della città, perché diventa lo spazio in cui essa viene messa alla prova essendo le città anche un luogo di sopraffazione, violenza, ingiustizia.
Non si devono chiudere gli occhi davanti a queste situazioni, ma bisogna accettare la sfida di prendersene carico”.
Papa Francesco, nell’ Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, in un certo modo lancia questa sfida. “La sfida – scrive il Pontefice – di scoprire e trasmettere la ‘mistica’ di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità”. Cosa ne pensa?
“Da questo punto di vista l’Evangelii Gaudium è molto provocante, perché ci spinge a interpretare la nostra identità di credenti come un qualche cosa che non può essere circoscritta a noi stessi, ma che ci chiede di cercare gli altri come necessari compagni del nostro camminare dentro al mondo.
La ‘mistica del vivere insieme’ è proprio questo sentimento di bisogno che noi abbiamo degli altri e che abbiamo di camminare insieme con gli altri e per gli altri.
È realizzazione della nostra identità più profonda”.
Questo include anche le drammaticità del nostro tempo?
“Certo! Quando parliamo di fraternità, di camminare insieme, non possiamo farlo pensando che sia tutto ‘rose e fiori’. La condizione della convivenza tra gli uomini è sempre anche una condizione di drammaticità e proprio per questo deve essere un camminare insieme che sa farsi carico delle situazioni di criticità, a partire da coloro che, dentro la città, meno sono ritenuti fratelli, come chi vive nella marginalità, chi non è considerato cittadino perché non membro della comunità e chi addirittura viene ritenuto membro di un’altra fraternità, quelli che consideriamo avversari o nemici. Lo scoprire in ciascuno di essi tratti fraterni ci aiuta a capire e ricordare che apparteniamo tutti a una sola universale famiglia, quella umana”.
Nella grande famiglia umana c’è anche la grande famiglia europea, che si sta preparando all’importante appuntamento delle elezioni di fine mese. Cosa auspica?
“Le elezioni europee sono un passaggio importante da cui dipende, più di quello che crediamo, il futuro del nostro Paese.
Noi siamo abituati a pensare alle elezioni europee come a qualche cosa di relativamente importante. Invece, sempre di più, dobbiamo acquisire la consapevolezza che stare in Europa è decisivo per il nostro futuro.
Pertanto, si deve arrivare a queste elezioni con consapevolezza, sapendo per cosa e come si vota, e sapendo anche che dal modo in cui staremo dentro l’Europa dopo l’appuntamento elettorale dipenderà gran parte di quello che l’Italia potrà essere, perché, in un contesto di fortissima globalizzazione, da soli non possiamo sopravvivere né tantomeno essere protagonisti. Possiamo essere protagonisti solo se lo facciamo assieme a tutta l’Europa”.
In questo senso quanto è importante riscoprire i valori che hanno ispirato i padri fondatori? Alcide De Gasperi, ad esempio, il 21 aprile 1954 alla Conferenza parlamentare europea di Parigi, ha parlato dell’Europa come della “nostra patria”…
“Sì! Dobbiamo riscoprire, saper ridire e saper rilanciare le ragioni del nostro stare in Europa come cittadini europei, che sono certamente legate anche ai benefici economici e di vita, ma ancora di più a un progetto di convivenza pacifica dentro al Continente e per il resto del mondo. Questi sono i fondamento entro i quali dobbiamo riscoprirci europei”.