Articolo pubblicato sulle pagine dell’Osservatore Romano a firma di Andrea Walton
L’amministrazione presidenziale americana guidata da Joe Biden dovrà implementare nei prossimi mesi un piano strategico credibile incentrato sul continente asiatico. In questa parte del mondo gli Stati Uniti possono contare su una serie di alleati di lungo corso come Corea del Sud e Giappone, su Paesi con cui i rapporti sono ottimi ma si sono raffreddati negli ultimi anni, come le Filippine, e su potenziali partner strategici, come l’India. Tuttavia, devono anche fronteggiare la minaccia costituita da Paesi rivali come la Repubblica Popolare Cinese. L’ex presidente Donald Trump, nel corso del suo mandato, ha avuto in più occasioni scontri con Pechino ed ha preferito puntare su un approccio unilaterale piuttosto che multilaterale.
I governi asiatici hanno mostrato un certo interesse per la nomina di Kurt Camp-bell, che ha già ricoperto cariche importanti legate alle relazioni con l’Asia durante le presidenze Clinton ed Obama e che ricoprirà l’incarico di coordinatore dell’Indo-Pacifico all’interno del Consiglio di sicurezza nazionale. Camp-bell ha influenzato la svolta di Barack Obama che, durante un discorso tenuto presso il Parlamento australiano nel novembre 2011, aveva annunciato che la politica estera americana avrebbe iniziato a focalizzarsi sull’Asia e non sul Medio Oriente. L’isolazionismo mostrato dall’ex presidente Trump ha però scombussolato il quadro complessivo. Gli Stati Uniti hanno abbandonato la Trans-Pacific Partnership, un accordo di libero scambio che include dodici nazioni della zona del Pacifico e rinunciato, per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale, alla guida economica della regione.
Biden cercherà, con tutta probabilità, di rafforzare le alleanze e le partnership in diverse parti dell’Eurasia. Nell’Indo-Pacifico verrà posta una certa enfasi sulla cooperazione con le nazioni insulari, la cui amicizia è fondamentale per mettere in sicurezza l’immenso Oceano Pacifico, esposto a molte insidie. Gli Stati Uniti sono legati a Corea del Sud e Giappone da accordi di difesa bilaterali che hanno reso molto forti i rapporti diplomatici tra i Paesi in questione. Non è escluso, poi, che verrà cercato un riavvicinamento con la Federazione Russa, che riveste un’importanza spesso dimenticata nel continente asiatico e che può fungere da contrappeso rispetto ad altre superpotenze della regione. Sullo sfondo, poi, c’è la grande incognita costituita dall’India, il gigante dell’Asia.
Nuova Delhi aspira al ruolo di superpotenza mondiale ed è già una potenza regionale in Asia meridionale. Le sue scelte, in politica estera, sono legate in prima battuta alla preservazione dei suoi interessi ed in più occasioni ha dimostrato di essere pronta ad aprirsi al mondo, ma sempre con una certa cautela. La cooperazione militare e l’amicizia personale nata tra Donald Trump ed il primo ministro indiano Narendra Modi ha reso le due grandi democrazie del mondo sempre più vicine.
Non è detto, però, che l’idillio sia destinato a proseguire. Secondo alcuni osservatori, infatti, Biden potrebbe osservare con occhio più critico alcuni sviluppi di politica interna dell’India, dove il partito di destra radicale del primo ministro Modi ha consolidato il potere ed è stato accusato di discriminazione nei confronti dei musulmani. L’India, però, è anche parte del Quad, il Dialogo per la Sicurezza Quadrilaterale, a cui partecipano anche Australia, Giappone e Stati Uniti da alcuni considerata alla stregua di un’Alleanza Atlantica in versione asiatica.
Il presidente Biden mostrerà di certo attenzione alla questione del radicalismo islamico che, in alcune nazioni come l’Indonesia, rischia di diventare un aspetto problematico. Jakarta ha un ruolo chiave negli equilibri dell’Asia Sud-Orientale ed un’eventuale instabilità al suo interno può pregiudicare la tenuta di una parte dell’Asia.