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martedì, 2 Dicembre, 2025
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Busia (Anac): la mafia è entrata nelle istituzioni

Roma, 2 dic. (askanews) – “Le infiltrazioni mafiose nei Comuni costituiscono un risvolto oscuro e inquietante della realtà dei territori italiani. Il coinvolgimento di Enti anche di grandi dimensioni, dove sempre più spesso si presenta la necessità di porre fine all’amministrazione eletta per avviare una fase di commissariamento, rappresenta un caso limite, il segnale di un fallimento, il sintomo di un pericoloso radicamento del crimine organizzato, un indizio evidente che la mafia è entrata nelle istituzioni”. Così scrive il presidente dell’Anac, Giuseppe Busìa, nella prefazione di ‘Il male in Comune è un dossier curato da Avviso Pubblico che analizza il fenomeno dei Comuni sciolti per infltrazioni mafose, mettendo in luce dati, dinamiche e conseguenze sul piano amministrativo, sociale ed economico.

“Il danno è tanto più notevole in quanto ad essere inquinato è il volto delle istituzioni più vicino al cittadino, il livello cui compete la gestione di servizi essenziali per la vita quotidiana delle comunità. Urge quindi individuare soluzioni nuove”, continua Busìa. “Il presente dossier, come i precedenti realizzati dall’Associazione Avviso Pubblico, con la quale l’Autorità nazionale anticorruzione ha recentemente stipulato un protocollo di intesa, a coronamento di una lunga collaborazione e condivisione di obiettivi, ha l’importante merito di far emergere il disordine amministrativo che caratterizza molti degli Enti disciolti e che si manifesta, fra l’altro, come mancata approvazione di regolamenti nei settori strategici, ricorso alla somma urgenza in assenza dei presupposti, affidamenti diretti di contratti pubblici in favore di soggetti privi dei necessari requisiti, inadeguatezza del sistema dei controlli e, in generale, inosservanza delle normative in materia di anticorruzione e trasparenza”. Così il presidente dell’Anac, Giuseppe Busìa, nella prefazione del documento presentato oggi nella sede della Fnsi.

Insomma – prosegue – “le carenze negli adempimenti relativi alla trasparenza risultano spesso perduranti anche durante la gestione commissariale e oltre, a dimostrazione di una situazione di degrado difficilmente sanabile nel breve lasso di tempo del commissariamento. Di fronte a tutto questo, non si può e non si deve abbassare la guardia”.

“La corruzione e la mafia, pur nettamente distinte sotto il profilo penalistico, sono tuttavia accomunate dal fatto di trarre alimento, entrambe, da pratiche di ‘maladministration’, intesa come cattiva gestione amministrativa e, quindi, sviamento dell’interesse pubblico e utilizzo distorto delle risorse della collettività”.

“Il successo di qualsiasi strategia antimafia – ha proseguito – dipende necessariamente dal serio impegno a ridurre le situazioni di cattiva amministrazione, attraverso la valorizzazione dei princìpi costituzionali di buon andamento e imparzialità. Complessivamente, ciò che più desta allarme è la crescente attitudine imprenditoriale delle organizzazioni mafiose, alle quali, sovente, l’aggiudicazione di appalti e la gestione di servizi pubblici consente di reinvestire i proventi illeciti delle attività criminali, con conseguenti ingenti danni al tessuto socio-economico dei territori interessati”, continua Busìa.

L’allarme è chiaro. “Suscita inoltre forte preoccupazione la presenza, tra i settori di maggiore ingerenza mafiosa, della gestione dei beni confiscati. Il fatto che le mafie tornino a mettere le mani sugli stessi patrimoni che sono stati confiscati loro in applicazione della legge, è un duro colpo inferto ai tentativi di rinascita delle comunità locali e, insieme, un inequivocabile appello alla necessità di migliorare il sistema”.

Insomma “la gestione dei beni confiscati rappresenta, dunque, la frontiera più sfidante della lotta al crimine mafioso e, quando proprio nell’ambito di essa si verificano infiltrazioni, è necessaria una risposta decisa, anche oltre il commissariamento”. Per questo – continua Busìa – “occorre, innanzi tutto, fare rete e promuovere la cooperazione tra gli Enti, potenziando gli strumenti collaborativi esistenti a sostegno delle realtà amministrative più fragili, al fine di realizzare un trasferimento di competenze e la condivisione di esperienze e buone pratiche, secondo il paradigma della qualificazione delle stazioni appaltanti proficuamente attuato nel settore dei contratti pubblici”. Sempre secondo il presidente Anac “occorre potenziare i meccanismi di trasparenza dell’azione pubblica, sia in quanto baluardo contro le infiltrazioni, sia per assicurare il coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali pubblici sia, infine, come strumento di efficienza, anche grazie alla creazione di nuove occasioni di razionalizzazione dell’azione amministrativa. In tal modo, attraverso la partecipazione civica, i Comuni sciolti per mafia possono divenire laboratori di buona amministrazione e, quindi, di buona politica”.

“Sono 11 le regioni coinvolte da scioglimenti – che diventano tredici se consideriamo le verifiche concluse con un’archiviazione. L’89% degli scioglimenti (360) si è verificato in Calabria, Campania e Sicilia. Percentuale che sale al 96% (386) se consideriamo anche la Puglia”. Così si informa in una sezione di ‘Il male in Comune’, il dossier curato da Avviso Pubblico che analizza il fenomeno dei comuni sciolti per infltrazioni mafose, mettendo in luce dati, dinamiche e conseguenze sul piano amministrativo, sociale ed economico.

Gli altri 16 scioglimenti – si aggiunge – sono avvenuti nel Lazio (5), Piemonte (3), Liguria (3), Basilicata (2), Lombardia (1), Emilia-Romagna (1) e Valle d’Aosta (1). In Sardegna e Veneto delle verifiche si sono concluse con l’archiviazione. Sono 34 le province coinvolte su tutto il territorio nazionale. In cinque di esse – Reggio Calabria, Napoli, Caserta, Palermo e Vibo Valentia – si è verificato il 63% degli scioglimenti. Dei 294 Enti locali soggetti a scioglimento dal 1991 al 30 settembre 2025, 288 sono Comuni, i restanti 6 sono Aziende Sanitarie Provinciali. In base ai dati demografici forniti dall’Istat – spiega Avviso Pubblico – raccolti al momento dell’emanazione del decreto, risulta che il 72% dei Comuni sciolti per mafia dal 1991 aveva una popolazione residente inferiore ai 20mila abitanti, il 51% aveva una popolazione residente inferiore ai 10mila abitanti e il 34% aveva una popolazione residente inferiore ai 5mila abitanti.

Appena il 9% dei 288 Comuni sciolti per mafia aveva una popolazione residente superiore ai 50mila abitanti al momento dello scioglimento. Nel periodo in considerazione sono stati 19 gli Enti locali sciolti in conseguenza di fenomeni di infiltrazione e condiziona mento di tipo mafioso, così territorialmente distribuiti: “8 in Calabria: Capistrano, Stefanaconi, Tropea e ASP Vibo Valentia (Vibo Valentia), Cerva e Badolato (Catanzaro), San Luca (Reggio Calabria), Casabona (Crotone)”.

“8 in Campania: Caivano, Melito di Napoli, Poggiomarino e Marano di Napoli (Napoli), Caserta e Calvi Risorta (Caserta), Monteforte Irpino e Quindici (Avellino)”. Poi “2 in Sicilia: Randazzo e Tremestieri Etneo (Catania). Ed uno nel Lazio: Aprila (Latina).