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martedì, 13 Maggio, 2025
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Calcio, Spalletti: sarò felice anche quando smetterò

Roma, 12 mag. (askanews) – Luciano Spalletti ha pubblicato con Rizzoli un libro, scritto con Giancarlo Dotto, dal titolo “Il paradiso esiste… ma quanta fatica”. È un racconto sincero, senza omissioni e senza cattiverie, della storia di un uomo che è salito fino al gradino più alto della sua professione, allenare la Nazionale, partendo dal basso. “L’ho fatto per lasciare ai miei figli il resoconto della vita che ho vissuto – le sue parole a Walter Veltroni al Corriere della Sera – Per me non è stato facile. Sono un pignolo, un perfezionista, credo di sapere il valore delle parole. Poi mi sono convinto che chi vive una vita da raccontare, ha il dovere di farlo. L’ho fatto evitando acidità e cattiverie, che pure nella mia carriera ho conosciuto e vissuto”. Spalletti ha conosciuto la gavetta, ha imparato nella polvere dei campi dei piccoli paesi. Si è fatto le ossa, senza scorciatoie. Uomo timido e solitario: “Sì, con la mia solitudine convivo benissimo. Anzi, la solitudine mi fa compagnia. Quando scappo a Montaione mia moglie mi dice “Ma che fai lì da solo?”. Io sto benissimo, con la mia terra, i miei operai, le bestie che curo”. Per arrivare al paradiso azzuro: “È stata una salita lunga, per arrivare fino alla Nazionale. Quando parti da laggiù, dai campi di terra battuta, non dalle squadre blasonate, senza avere la struttura, senza conoscenze di un mondo che vedevi lontano, gli scalini sono sempre alti e scoscesi”. Parla dei suoi inizi con i bambini dell’Avane, una zona di case popolari in periferia di Empoli. Alla Fiorentina la prima delusione. Poi Volterrana, Castelfiorentino, Cuoiopelli, Entella Chiavari, Viareggio, Empoli. Dove ho finito la mia onesta carriera”. Il padre lavorava in vetreria e poi ha fatto il guardiacaccia, il magazziniere. La madre lavorava nelle confezioni”. Il fratello calciatore “mi ha insegnato molto. In primo luogo ad avere carattere”. Un caso raro, senza procuratore: “Ci sto attento, sia in entrata che in uscita. Non vengo da cascate di diamanti ma dalla fatica dei calli sulle mani. So che i soldi sono importanti. Ma certe volte mi sembra incredibile che mi paghino per fare ciò che più mi appassiona e mi diverte”. Il Napoli, il momento più bello della carriera: “Ho girato moltissime società, moltissime città, ma non ho mai visto, in molti anni, un popolo che sappia essere così felice e così malinconico come quello napoletano. Io per questo sarò sempre grato al presidente De Laurentiis per avermi fatto fare quella esperienza. Poi è finita male e mi dispiace. Ho sofferto perché dopo lo scudetto il presidente non ha telefonato a nessuno di noi, non ci ha fatto gioire su un pullman scoperto insieme a quel meraviglioso popolo. Io amo Napoli e il Napoli. E ora spero che la città possa essere ancora molte volte felice. L’altra sera in Champions League ho visto l’Inter che è totalmente all’altezza delle più grandi squadre d’Europa. I nerazzurri, guidati dalla sapienza tattica di Simone Inzaghi, hanno raggiunto per due volte la finale di questo prestigioso torneo”. A Napoli all’inizio rubarono la Panda per invitarlo ad andare via: “La passione che le persone mettono per la propria squadra spesso deborda, si fa emotiva. Quando vedo le curve piene, le bandiere che sventolano, i ragazzi che coltivano una passione pura e non contaminata da altro, penso che quel potenziale potrebbe essere indirizzato anche per altri fini, per esempio di tipo sociale”. Lo scudetto è stato il giorno più bello della tua vita professionale: “In quei giorni ho provato la terribile felicità che si sente quando si regala felicità ad altri, qualcosa che ti fa vibrare in sintonia con persone che non conosci. Ma l’altro momento più bello sarà quando smetterò e non sentirò più sulle spalle questo peso, un peso scelto, ma che spesso mi toglie il fiato”. Francesco Totti: “Io gli voglio bene. Lui è il calcio, per me. Istinto, classe, intelligenza pura. Quando lo allenavo, mi rassicurava pensare che il mio futuro dipendesse proprio da quei piedi lì. E mi piacerebbe, ora che tra noi tutto è chiarito, che pensassimo a qualche esperienza professionale, anche fuori dal calcio, da fare insieme”. “Sarebbe bello che noi due tornassimo a fare cose insieme”. I fischi dell’Olimpico, il giorno in cui Francesco diede l’addio al calcio “Mi sono pesati. Non riesco, non sono mai riuscito, a farmi scivolare le cose addosso. Mi restano dentro, mi attraversano, mi corrodono”. La sconfitta agli Europei con la Svizzera: “Ho capito di aver caricato i ragazzi di troppe responsabilità, ho esagerato nella pressione. Li ho messi al cospetto, forse con troppa forza, della storia dei campioni e delle squadre che avevano portato gioia all’intero Paese. E così i giocatori hanno perso leggerezza. Ho sbagliato io, me ne sono assunto la responsabilità, per tutti”. Riusciremo ad andare ai Mondiali stavolta? I bambini nati dopo il 2014 non hanno mai visto la maglia azzurra alla World Cup: “Siamo tutti consapevoli dell’importanza delle qualificazioni. Ci è capitato un girone con una nazionale forte come la Norvegia ma io ho fiducia nei miei ragazzi. Siamo una squadra forte e abbiamo voglia”. I rischi per i nuovi calciatori, sospesi tra show business e social: “Io penso che la prima cosa da fare, per noi che siamo anche riferimenti educativi nella formazione di questi ragazzi, sia liberarli dalla noia di essere benestanti. Quanto al cellulare, si deve sapere che ti connette con chi è più lontano e ti disconnette da chi è più vicino. Tu usi il cellulare ma non parli più con chi ti sta a fianco. E ora dobbiamo stare attenti che l’intelligenza artificiale non sopprima l’intelligenza naturale. Il rischio è che le domande le si faccia a un apparecchio, non alla propria mente o alla propria coscienza. Le soluzioni ai problemi della vita non le deve trovare un apparato elettronico, ma la mente umana”. C’è un giocatore, nella storia del calcio, con il quale vorrebbe trovarsi a cena, per parlare: “Luca Vialli. Grande giocatore e grande persona. Basta vedere come ha affrontato il male. Ci ho giocato contro solo una volta, in un Sampdoria -Spezia. Era forte. Mi diede due brandate pesanti, ma poi mi aiutò subito a rialzarmi. Ecco, il suo modo di vivere, e di morire, ci aiuta a rialzarci, sempre”.