7.2 C
Roma
mercoledì, 3 Dicembre, 2025
Home GiornaleCara Bologna… Bersani la benedice, Ferrara la denuda

Cara Bologna… Bersani la benedice, Ferrara la denuda

Il doppio ritratto della città: da culla universitaria e modello di convivenza civile, secondo Pierluigi Bersani, a comunità smarrita e incarognita, per Giuliano Ferrara. La retorica non può soffocare una realtà complessa, a più facce.

Il canto di Bersani: Bologna come reliquia civile

Ieri sera a Otto e mezzo, Bersani ha descritto la questione bolognese, ovvero l’attacco sferrato dalla Presidente del Consiglio al mito del buongoverno emiliano, come un sacrilegio compiuto da mani profane. L’Università di Bologna, “la prima nella storia europea”, diventa un totem: non disturbare, non toccare, non discutere. Il problema, secondo l’ex segretario Pd, non è l’ateneo in sé ma il simbolo: Bologna è il Fort Apache della sinistra italiana, quella “cittadella rossa” che risveglia gli istinti aggressivi della destra.

Da qui il salto al referto psichiatrico: “Fatevi curare da uno bravo”. Il Bersani oracolare parla di un Paese “da non smontare” e di centri antiviolenza come linee Maginot morali, mentre la premier viene dipinta come predatrice di roccaforti rosse — toghe, consultori, università. Zero merito, solo territorio e appartenenza, come se la città fosse la protesi sentimentale di un’intera area politica.

L’altra Bologna di Giuliano Ferrara

Invece stamane, sul Foglio, Giuliano Ferrara parte dalla stessa materia e la ribalta: non la città-simbolo da difendere, ma il corpo reale da diagnosticare. Bologna non è ferita da Meloni – suggerisce – ma dal proprio declino: la resa agli invasati anti-israeliani, la rinuncia “pacifista fino al disdoro” ad insegnare filosofia agli ufficiali dell’Esercito.

La sua Bologna — “calda e umida e fredda nel cuore delle stagioni estreme” — non è la mitica “cittadella rossa”, ma una città che ha perso il senso di sé. Non la grande madre della cultura italiana, ma un organismo che inciampa sui propri anticorpi. Ferrara non canta, incide in modo caustico: non santifica, mette a nudo l’ipocrisia.

Due sguardi disallineati sulla città

Bersani parla in nome della memoria e dell’identità: Bologna come capitale morale. Ferrara parla di tessuti e organi: Bologna come corpo vulnerabile. Uno teme l’invasione, l’altro registra la resa.

L’ex segretario Pd denuncia CasaPound a “150 metri dalla stazione della strage”. Ferrara evoca Marco Biagi e una bicicletta abbandonata: non l’assedio, ma la fragilità interna. Uno difende il mito (rosso). L’altro seziona il cadavere di questo mito.

 

Il caustico Ferrara

Bersani ammonisce la Meloni: “Non toccare quei tasti ideologici”. Ferrara rovescia la questione: e se quei tasti non fossero ideologici ma nervi, stati dell’anima?

Bologna scivola nel culto dell’identità, si mette in posa davanti allo specchio della storia e non sa più che volto questo specchio rifletta. La prima università d’Europa, certo — o “la città civile e ben messa”, come dice Bersani. Ma anche la città che rifiuta la filosofia proprio a chi la filosofia potrebbe tornare utile nel servizio alla Patria, vale a dire i militari.

Insomma, non è la Meloni che “tocca Bologna”. È Bologna che non sa più dove farsi toccare. E qui, ahimè, l’Emilia di Ferrara taglia più netto del peana televisivo di Bersani.