Fratelli e sorelle carissimi, questa antica basilica dedicata ai Santi dodici Apostoli, posta nel cuore della Roma cristiana, ci ricorda le gesta dei primi seguaci del Signore, che hanno avuto il coraggio di annunziare la Parola del Vangelo in tutto il mondo allora conosciuto. Porta però anche il segno di memorie recenti: ha conosciuto infatti la preghiera nascosta, e non per questo meno intensa, di un gruppo di credenti, guidati dal sacerdote siciliano don Luigi Sturzo, mentre intendevano mettersi all’opera per offrire il loro servizio politico all’Italia del primo dopoguerra lacerata da divisioni ideologiche, economiche e sociali.
Nel centenario di questo episodio, passato alla storia come l’appello ai «Liberi e forti», e nel 60° anniversario della morte di don Sturzo, ci siamo raccolti oggi in questo sacro tempio per riaffermare quanto la Parola del Signore abbia la forza di liberare il nostro spirito dal male del peccato, e quanta capacità essa abbia di penetrare nelle pieghe della società per farla rivivere e per rendere la vita di ognuno più umana e più santa.
Nella pagina proclamata oggi, l’evangelista Marco racconta come Gesù, arrivato a Cafarnao ed entrato in una casa, annuncia la Parola di Dio e guarisce un paralitico.
Si tratta di uno dei miracoli più importanti dell’attività di Gesù in Galilea, perché non soltanto comporta la guarigione da una situazione incurabile, ma anche, e soprattutto, la liberazione da quella che si può descrivere ugualmente come una forma di paralisi: la condizione che viene dal peccato. Come aveva già notato Clemente di Alessandria, «l’arte del medico, secondo Democrito, guarisce le malattie del corpo; la saggezza libera l’anima dalle sue ossessioni. Ma [Gesù Cristo], Sapienza e Parola del Padre che ha assunto la carne umana, si prende cura dell’intera natura della sua creatura. Il Medico dell’umanità, il Salvatore, guarisce congiuntamente corpo e anima» (Commento a Marco; cf. Oden – Hall, Mark. Ancient Christian Commentary on Scripture, 29).
Gesù, che opera con il cuore, la misericordia e la potenza del Padre, si prende cura della persona in tutte le sue dimensioni: non solo quella corporea e fisica, ma anche quelle più profonde e spirituali. Ecco perché la pagina della guarigione del paralitico si presta a una lettura ulteriore.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che tutto questo avviene in una cittadina della Galilea, Cafarnao, quella che l’evangelista Matteo chiama «la città di Gesù» (cf. Mt 9,1). Si noti invece che nella scena immediatamente precedente alla guarigione del paralitico, quella in cui l’evangelista racconta la purificazione di un lebbroso, Gesù si trovava «fuori, in luoghi deserti», perché «non poteva più entrare pubblicamente in una città» (Mc 1,45). È importante sottolineare che Gesù è tornato in città e non è rimasto fuori dal luogo abituale in cui gli uomini vivono!
Pur non abitando in una grande città ellenistica dell’Impero Romano nella Provincia della Giudea, non vuol dire che Gesù fosse disinteressato alla vita di una cittadina come Cafarnao. Anzi, dobbiamo pensare che, abitando in quella polis, vi abbia anche in un certo modo esercitato un ruolo civile, che certamente si esprimeva attraverso l’interessamento per la vita di quella povera gente, che viveva principalmente grazie alla pesca e ai commerci.
È questo il passo che ci permette di ritenere ancora attuale l’Appello di don Luigi Sturzo ai liberi e forti. Un messaggio che ci permette di cogliere in tutta la sua portata il valore storico-sociale dell’opera di don Sturzo, un uomo che, dall’esperienza concreta del suo vissuto di sacerdote, ebbe l’intuizione di chiamare a raccolta i cattolici liberi dalle pastoie e dagli interessi di parte e forti nello spirito, per offrire un servizio all’intero paese, lacerato da lotte sociali talora strumentalizzate da logiche di potere e da visioni contrastanti, sullo sfondo di uno scenario economico-sociale devastato dalla guerra e da povertà diffusa.
Fu in questa chiesa che, alla vigilia del famoso appello, il servo di Dio don Luigi Sturzo, con il manipolo di seguaci, si ritrovò a pregare per mettere tutto nelle mani di Dio, alla cui luce ogni umano impegno trova forza e vigore.
Anni dopo, ricordando questo episodio, scrisse: «Durante quest’ora di adorazione rievocai tutta la tragedia della mia vita. Non avevo mai chiesto nulla, non cercavo nulla, ero rimasto semplice prete: per consacrarmi all’azione cattolica sociale e municipale avevo rinunciato alla cattedra di filosofia; dopo venticinque anni ecco che abbandonavo anche l’azione cattolica, per dedicarmi esclusivamente alla politica. Ne vidi i pericoli e piansi. Accettavo la nuova carica di capo del partito popolare con l’amarezza nel cuore, ma come un apostolato, come un sacrificio» (L. STURZO, Politica e morale (1938), Coscienza e politica (1953), Edizioni Zanichelli, Bologna 1972, 106s.).
Da quella nascosta preghiera dinanzi al Santissimo Sacramento scaturì una storia di impegno e dedizione alla causa del bene comune che tutti ben conosciamo e che ancor oggi richiama il nostro interesse e la nostra ammirazione. Sturzo concepì la sua attività sociale e politica come esigenza e manifestazione dell’amore cristiano: non valore astratto, ma principio ispiratore dell’azione concreta che porta ad impegnarsi per cambiare le sorti di questo mondo, specialmente riguardo ai più bisognosi. L’amore di Sturzo per i poveri non è infatti un epidermico sentimento di filantropia, né è dettato da un superficiale sentimentalismo, ma è un fatto consapevolmente cristiano fondato sulla «fratellanza comune per la divina paternità».
Egli collega l’ordine naturale con quello soprannaturale e vede nella giustizia e nell’amore quei valori che i cristiani, con l’aiuto e l’esempio di Gesù, hanno il compito di attuare nella storia. Da queste premesse egli concepirà l’impegno politico come dovere morale e atto d’amore. In epoca recente, parlando di don Sturzo, san Giovanni Paolo II ebbe a dire che «seppe infondere nei cattolici italiani il senso del diritto-dovere della partecipazione alla cosa pubblica al servizio della verità e dei più deboli, mediante l’applicazione dei principi della dottrina sociale della Chiesa» (L’Osservatore Romano, 22-23 novembre 1982, 3).
Oggi, a distanza di cento anni, questo appello risuona nell’animo di quanti hanno a cuore le sorti del Paese, ancora una volta lacerato e diviso; risuona nell’animo di quanti sentono quella spinta ideale che vede nella difesa della vita e nella promozione umana il motivo di fondo di ogni impegno sociale.
Dobbiamo ringraziare il Signore per aver donato all’Italia e alla Chiesa don Luigi Sturzo, che è stato insieme un uomo di Dio e un sacerdote che si è fatto annunciatore e testimone dell’amore del Signore verso gli uomini. Con tutta la sua vita ha affermato il primato di Dio e ha pagato di persona il suo impegno per la verità, la libertà, la giustizia, l’amore e la pace. Egli ha vissuto una spiritualità incarnata nel contesto sociale del suo tempo ed ha esercitato la sua carità pastorale attraverso un impegno culturale, sociale e politico d’ampio respiro, animato dalla fede cristiana e ispirato al motto paolino, rilanciato da san Pio X, di instaurare omnia in Christo. «Nella mia vita – affermò più tardi il servo di Dio – ho chiesto incessantemente al Signore di essere sempre e soltanto, ovunque, sacerdote, alter Christus».
Carissimi, siamo di fronte alla storia di un uomo, di un sacerdote che ha percorso la strada della santità e dell’impegno cristiano attraverso un particolare impegno pubblico; egli lo ha fatto per amore del Cristo che ha scorto sofferente nei suoi concittadini nudi e affamati, lo ha fatto per amore della Chiesa, nella compagine laicale del suo tempo fortemente divisa e in conflitto; lo ha fatto per il suo amato Paese, che vedeva preda delle fazioni più estreme, nell’oscuramento dei valori della dignità umana e del progresso civile.
Ricordando quell’ora intensa di preghiera, qui in questa insigne basilica chiediamo anche noi quest’oggi al Signore che volga il suo sguardo di amore e di misericordia sulla sua Chiesa e su tutta la società civile italiana perché possa ritrovare la via della concordia e della fraternità, e ogni uomo e ogni donna di questo Paese possa sempre veder riconosciuti i propri diritti nella solidarietà e nella giustizia.