Fonte servire l’Italia a firma di Agostino Giovagnoli docente di Storia contemporanea, facoltà di Lettere e filosofia.
“Ai liberi e ai forti”. Anzitutto per queste parole, che ne costituiscono l’incipit, appare oggi molto attuale l’Appello lanciato, cento anni fa, dai fondatori del Partito popolare. Fin all’inizio del 2019 questo centenario è stato celebrato da molte parti e spesso con convinzione. Ed è significativo che anche l’Università Cattolica del Sacro Cuore senta il bisogno di ricordare la fondazione del Ppi. Padre Gemelli, infatti, non condivideva l’impianto aconfessionale del partito sturziano (ma poi ha sostenuto la Dc che ne è stata la prosecuzione). Oggi, però, tutti i cattolici italiani guardano positivamente a quella esperienza e ne considerano attuale la lezione. Queste celebrazioni, tuttavia, sono state accompagnate anche da qualche nostalgia e da alcune incertezze. Nostalgia, perché il Partito popolare ha rappresentato un’esperienza luminosa, benché sfortunata, con cui i cattolici italiani sul piano politico hanno dato il meglio. Ma anche incertezza perché evocare il Ppi significa evocare una prospettiva della cui realizzabilità nessuno appare sicuro: quella di un impegno diretto dei cattolici in un partito politico. Da quando è finita la Democrazia cristiana, nel 1994, i motivi contro questa prospettiva sono apparsi superiori a quelli a favore. Nel tempo questa esperienza è stata ampiamente rivalutata. Ma, soprattutto tra vescovi e parroci, continua a prevalere la convinzione che la politica divida e che non convenga sostenere questa o quella iniziativa politica promossa da una parte dei cattolici, in cui certamente un’altra parte non si ritroverebbe.
In realtà, le divisioni veramente pericolose sono quelle che vengono dall’esterno. È accaduto proprio con Sturzo, la cui iniziativa è stata fermata da una parte del mondo cattolico, abilmente manovrata da una forza estranea in grado di utilizzare strumentalmente temi cari ai cattolici. Le conseguenze, per la Chiesa e per il paese, sono state terribili. Consapevoli di questa pesante lezione, nel secondo dopoguerra Pio XII e i suoi collaboratori, in particolare monsignor Giovanni Battista Montini (poi Paolo VI), hanno sostenuto con convinzione la Democrazia cristiana anche se inizialmente tra i cattolici c’era chi sosteneva altri partiti e successivamente c’era chi avrebbe voluto creare un’alternativa alla Dc. Tutto ciò può sembrare molto lontano, ma le situazioni cambiano rapidamente. Pochi giorni fa, il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Gualtiero Bassetti, ha dichiarato che «staccare i fedeli dal Papa è una manovra sbagliata e controproducente» e ha aggiunto che «non basta dirsi cattolici per diventare De Gasperi». Anche oggi, insomma, ci sono forze che vogliono dividere i cattolici, mascherandosi da sinceri cattolici, come De Gasperi, senza esserlo. Se le cose stanno così, il problema si rovescia: non si tratta di evitare che i cattolici si dividano sulla base di scelte politiche diverse – che non incrinano certamente il nucleo centrale della loro fede – ma di respingere iniziative che dall’esterno possono dividerli pericolosamente – giungendo fino a toccare persino quel nucleo. Come è avvenuto nel primo dopoguerra. Non fu Sturzo, allora, a sbagliare né gli altri “liberi e forti” che lo seguirono, ma coloro che ebbero troppa paura di manovre insidiose e di minacce pesanti. A volte, prendere iniziative che possono anche non raccogliere subito un consenso unanime è l’unico modo per evitare divisioni più profonde e conseguenze più pesanti. Ma è necessario saper essere veramente liberi e forti: ecco la grande attualità dell’Appello di cento anni fa.