Il rischio rimane quello di un dibattito nominalistico, fatalmente rovinoso, senza una chiara direttrice di marcia. Torna la critica di D’Alema sulla
Cristian Coriolano
La direzione nazionale del Pd avrà il compito stamane di frenare la spinta verso un congresso vampirizzato dal fatuo leaderismo che sembra dominare il confronto interno. È inevitabile, secondo logica, che Letta sia invitato a gestire con la dovuta calma una transizione a dir poco complicata. La richiesta di Base Riformista, tutta protesa invece ad imprimere un ritmo più accelerato alle operazioni congressuali, sconta il limite di una certa povertà di argomentazione. Il rischio rimane quello di un dibattito nominalistico, fatalmente rovinoso, senza una chiara direttrice di marcia. Finora si è cercato di nascondere il problema, per un verso o per l’altro relativo alle alleanze, con il liturgico appello alla riscoperta o alla ridefinizione dell’identità. Ma qual è l’identità di un partito che è sorto, all’opposto, con l’idea di liquidare le formule identitarie del Novecento?
Ieri D’Alema nella sua intervista al Fatto Quotidiano, al solito intelligente e velenosa, ha riconfermato la critica all’astrattezza di una scelta che ha preteso di forzare l’evoluzione del centro sinistra dando vita all’inglobante del nuovo riformismo post guerra fredda. Al contrario, sarebbe stato meglio tenere distinte due formazioni, una di matrice socialista e l’altra di orientamento cattolico progressista. Una tesi, si dirà, che D’Alema ha sempre sostenuto; ma non certo una tesi che per questo possa dirsi infondata, se i risultati elettorali del 25 settembre evidenziano il forte restringimento delle basi di consenso del “partito unico del riformismo”. Insomma, D’Alema può aver anche torto, ma a questo suo torto va opposta una ragione convincente.
Sta di fatto che il dilemma esiste e pesa enormemente. Non si può non osservare, infatti, quanto il Pd sia vittima di se stesso, ovvero della sua fluidità di genere, per stare al gergo dell’attualità. Indovinare la via d’uscita dalla crisi equivale a pensare la definizione di una identità condivisa, pena l’usura del criterio fondativo del partito e quindi delle sue aspettative presenti e future. Serve un dibattito serio, perciò con tempi adeguati alla serietà dei problemi in gioco. C’è la farà il Pd? Chi se lo augura, pur non essendo del Pd, ha a cuore il bene del Paese..