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lunedì, Aprile 7, 2025
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Chi era Péguy? Un ossimoro vivente, cordialmente amato e cordialmente odiato

Su di lui Borghesi ha raccolto varie testimonianze. Gentilmente autorizzati del direttore del quotidiano vaticano, riproponiamo l’articolo uscito a firma di Silvia Guida (“Péguy e le conchiglie vuote di Proust” - 4 aprile 2025).

«Ero un ragazzino e, quasi di nascosto, sentii una delle conversazioni frequenti a casa mia tra Palmiro Togliatti, segretario del partito comunista, e don Giuseppe de Luca, il famoso amico di Giovanni XXIII, il celebre sacerdote romano, grande intellettuale di “Frontespizio”, amico di tanti uomini semplici e no».

Giaime Rodano — scomparso nel luglio del 2021 — sta raccontando il “suo” Péguy; una delle testimonianze più interessanti raccolte nel libro Il cristiano e l’anima carnale. L’attualità “inattuale” di Charles Péguy (Roma, Studium, 2025, pagine 194, euro 20, a cura di Massimo Borghesi, dedicato a Mimmi Cassola, la traduttrice de I misteri).

L’incontro tra Togliatti e De Luca, continua Rodano — curatore de La nostra giovinezza di Péguy nella versione degli Editori Riuniti del 1993 e, nel 2016 de Il denaro per l’editrice Castelvecchi — inizia proprio con una lunga conversazione sul redattore dei «Cahiers de la Quinzaine» anarchico, socialista, dreyfusardo, amico degli ebrei, cattolico, anticlericale, tradizionalista. Ma anche, in certo senso, anti-tradizionalista quando critica ogni indebita cristallizzazione della vita spirituale.

Un ossimoro vivente, cordialmente amato o cordialmente odiato spesso prima ancora di essere letto che — come scrive von Balthasar, citato da Borghesi — «è indivisibile e sta perciò dentro e fuori la chiesa, è la chiesa in partibus infidelium, dunque là dove essa deve essere (…) grazie al suo radicamento nel profondo dove mondo e chiesa, mondo e grazia si incontrano e si penetrano fino a rendersi indistinguibili».

Da qui nasce quel fascino trasversale che ha reso l’autore del Portico del mistero della seconda virtù un simbolo facilmente strumentalizzabile se interpretato in termini ideologici o politici, costantemente strattonato da destra e da sinistra e trasformato in un militante ante litteram di opposte fazioni.

«Poiché Péguy — continua von Balthasar — affonda in una zona che sta al di sotto di tutte le antinomie superficiali, resta, per tutti quelli che non sono in grado di seguirlo fin laggiù, uno spirito estremamente contraddittorio oppure il conciliatore di qualsiasi inconciliabilità: comunista e tradizionalista, internazionalista e nazionalista, estremo di sinistra ed estremo di destra, uno che sente con la chiesa e un anticlericale, un mistico e un giornalista arrabbiato, e via dicendo. Ma per chi può vedere il suo profilo profondo, tutte le sue linee apparentemente in urto tra loro si ordinano come tanti raggi che puntano a un centro. Partendo da questo centro egli risolve tutte le opposizioni».

La bussola che permette di orientarsi nella fluviale produzione dell’autore de Il mistero della carità di Giovanna d’Arco è il Caro cardo salutis di sant’Ireneo, il Leit-motif costante dell’Incarnazione. E il luogo dell’intersezione dell’eterno nel tempo dove ogni pellegrino può far esperienza dell’amore di Dio è Chartres, dove «la soglia ha l’altezza del gradino» come chiosa Giuseppe Frangi (in uno dei saggi precedentemente raccolti nel dossier Charles Péguy. A 150 anni dalla nascita a cura di Massimo Borghesi, nella rivista «Studium», 3, 2023). Un’oasi di luce nel buio del primo mondo integralmente post-cristiano della storia. Un’ipotesi — nota Frangi — che aveva assillato lo stesso Marcel Proust, anche lui arrivato a Chartres nel 1902 e che alla cattedrale fa riferimento più volte nella sua Recherche.

Proust confidava di temere che «la Francia si trasformasse in una spiaggia dove gigantesche conchiglie cesellate sarebbero apparse arenate, vuote ormai della vita che in esse aveva abitato». Partendo dal centro vitale e vibrante della sua fede, Péguy dialoga “davvero” con chiunque lo legga libero dai paraocchi del preconcetto, e «si può permettere — continua von Balthasar — un humor che inumidisce ogni cosa, un humor che è (…) meno complicato di quello di Claudel, una specie di superiore astuzia e bonarietà contadina, mediante la quale egli si distacca da tutta l’intellighenzia clericale-anticlericale che gli sta attorno come l’unico che è rimasto ben piantato nella sua terra».

 

Fonte: L’Osservatore Romano – 4 aprile 2025