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martedì, Marzo 4, 2025
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Cisl, la crisi non si affronta con i silenzi e le finte ingenuità.

A Via Po spira aria di destra. Quando il livello del dibattito rischia soltanto di sfiorare criticamente il Governo, la Cisl abdica alla sua funzione di stimolo e sposta il dibattito su un’astratta difesa dell’autonomia.

Dove va la Cisl? Condividiamo assolutamente la tesi che il sindacato confederale debba caratterizzarsi sull’autonomia, ispirarsi alla sua identità storica e fare della contrattazione lo strumento principale della sua iniziativa. La nostra critica è aliena da pettegolezzi, semmai abbiamo a cuore la storia di un’Organizzazione di grande prestigio, che rischia di disperdere un patrimonio sindacalmente inestimabile.

Non abbiamo bisogno di particolari sottolineature – vale per Merlo, intervenuto su questo giornale a difesa di Sbarra – per avere chiaro il disegno “politico” e movimentista di Landini. Sappiamo però che per valorizzare e sottolineare un’iniziativa o una posizione sindacale c’è bisogno innanzitutto di idee, idee che possono anche entrare in contrasto con le controparti, a partire dai vari governi.

Ricordiamo ancora le intuizioni che la Cisl ha avuto, tradotte poi in accordi fondamentali per la vita dei lavoratori: nel 1984 con l’accordo di San Valentino dando una prospettiva ai salari per il dopo “scala mobile” e nel 2009 riformulando l’assetto dei contratti nazionali, che ancora vivono sulla base di quella impostazione. Accordi siglati nella lacerazione del movimento sindacale voluta strumentalmente dalla Cgil, ma senza l’isolamento della confederazione cislina.

In questi ultimi anni quali sono state invece le idee proprie della Cisl su politica dei redditi, previdenza, sanità, industria, energia, agricoltura e servizi, che hanno portato ad accordi interconfederali strutturali? Non ne troviamo.  Segnaliamo invece dichiarazioni sempre uguali del segretario generale, di qualche segretario confederale o di categoria (un invito a leggere il sito confederale, i social e i comunicati stampa per avere conferma). Riscontriamo allo stesso tempo che, quando il livello del dibattito rischia soltanto di sfiorare criticamente il Governo Meloni, la Cisl abdica anche alla sua funzione di stimolo e sposta il dibattito su un’astratta difesa dell’autonomia. Che dire? Di fatto l’autonomia si manifesta sempre attraverso autorevolezza e competenza, senza timori reverenziali e manovre scivolose. Non dobbiamo ricordare qui che la Cisl disse diversi no ai governi democristiani.

Oggi siamo all’appiattimento sul governo. Nel documento confederale di 52 pagine a commento della Legge di bilancio 2025 pubblicato sul sito cislino, l’aggettivo maggiormente utilizzato è “positivo”, con l’aggravante affermazione che gran parte di quanto stabilito dalla norma finanziaria sia di recepimento delle posizioni espresse sempre dalla Cisl: “Molti punti della Legge di Bilancio recepiscono nostre rivendicazioni storiche, come il taglio strutturale e rafforzato del cuneo e l’accorpamento delle prime due aliquote Irpef per sostenere i redditi bassi e medi, fino alla soglia di 40 mila euro; la detassazione dei salari di produttività; le misure sul welfare contrattuale e il potenziamento della defiscalizzazione sui fringe benefit; le risorse per il rinnovo dei contratti pubblici 2025-27 e l’accantonamento per la prossima vigenza 2028-2030”. Chi s’intende di sindacato non potrà negare che quanto affermato attiene a questioni già consolidate da tempo e che da qualche anno si ripropongono con ogni governo della Repubblica…

Le perplessità aumentano quando si allarga lo sguardo alle relazioni con gli altri sindacali confederali.  Inopinatamente sono stati opposti dei no ad iniziative unitarie, riuscendo a smarcarsi anche nelle mobilitazioni nazionali dedicate alla sicurezza sul lavoro a valle di gravi incidenti; anzi ad alcune categorie è stato chiesto esplicitamente di evitare iniziative nazionali sorte spontaneamente tra i lavoratori (ci si è limitati a scioperi locali senza una risonanza significativa).

Tutto ciò con una chiara prospettiva di rapporti sempre più organici verso un’area politica e senza ripensare ad una nuova prospettiva unitaria. In realtà la Cisl parla in via preferenziale con il mondo del sindacalismo autonomo, rappresentativo prevalentemente di interessi corporativi e, per sua natura, mancante di una visione complessiva sul tema del lavoro. Purtroppo non reagiscono a questa deriva burocratico-servente neanche le tradizionali “anime critiche” interne, come ad esempio la Fim e altre categorie dell’industria, ormai anch’esse omologate. Del resto, anche molti altri bravi dirigenti nazionali e locali hanno applicato il detto di andreottiana memoria “meglio tirare a campare che tirare le cuoia”.

Tornando al merito, e cioè alla proposta di legge promossa dalla Cisl sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, il 22 gennaio lo stesso Sbarra, a seguito di un convegno di Forza Italia sul tema, rilasciava questa dichiarazione stampa: “Apprendiamo proprio in questi minuti che il Pd si accingerebbe a non votare la nostra proposta di legge. Spero fortemente in un ravvedimento di un partito che dovrebbe avere il lavoro e la democrazia economica iscritte nel patrimonio genetico”. E aggiungeva: “L’amarezza per l’occasione persa di dare una legge bipartisan al Paese sarebbe enorme, credo anche negli elettori del campo progressista. Non regge certo l’argomento di una difesa strenua del testo originale, tanto più se avanzato da una forza politica che ha presentato decine di emendamenti per cambiarlo. Non vorremmo che l’onorevole Guerra fosse alla ricerca di alibi o sponde: noi non glieli daremo di certo. E chiediamo ancora al Pd di convergere su un provvedimento di civiltà senza trasformarlo in un campo di battaglia ideologico”.

Stanno proprio così i termini del confronto? No, è Sbarra a impasticciare tutto. Infatti, intervistata dal Foglio (25 gennaio), l’ex segretaria generale di via Po e attuale senatrice del Pd, Anna Maria Furlan, pur sostenitrice della proposta di legge, ha dichiarato che il testo sulla partecipazione fortemente voluto dalla Cisl, “è stato impoverito da emendamenti molto pesanti voluti dal centrodestra”. E ancora: “Si è intervenuti con emendamenti soppressivi sulle forme partecipative nelle aziende pubbliche e nel settore bancario. Ed è stato indebolito il ruolo della contrattazione per le scelte partecipative, riservandole alla volontà delle singole imprese”.

Ecco dove sta il punto. In un Paese dove la stragrande maggioranza delle imprese sono medio-piccole e sotto i 100 dipendenti, per quanto si possa accentuare la valenza della proposta, il risultato della norma, qualora fosse approvata così, sarebbe praticamente nullo. Chiediamo allora a Sbarra, prima che lasci il suo incarico, dove verrebbe applicata questa legge. Non è il caso che si misuri con le osservazioni della Furlan, magari discutendone pubblicamente con lei, visto che nella Cisl non si discute più o, comunque, non più con la necessaria chiarezza ed energia politica? Attendiamo un segnale di vita!