Articolo pubblicato sulle pagine della rivista Treccani a firma di Mario Del Pero

Difficile immaginare luogo più rappresentativo della storia della frattura razziale negli USA – di quella “linea del colore” che ne ha marcato e mosso tutta l’esistenza – di Montgomery, Alabama. La città ha eletto l’altro ieri il suo primo sindaco afroamericano in due secoli, il giudice quarantacinquenne Steven Reed, figlio di un noto politico locale, buoni studi a Morehouse ‒ lo storico college maschile e nero di Atlanta dove passarono tanti leader del movimento per i diritti civili, incluso il precocissimo Martin Luther King Jr., ammessovi quando aveva 15 anni e laureatosi in Sociologia a 19 ‒ e a Vanderbilt, una delle prestigiose “Harvard del Sud”.

Montgomery – che celebra proprio nel 2019 i suoi 200 anni come municipalità autonoma – è stata al centro di alcuni dei principali snodi della storia afroamericana. Fu capitale per poche settimane della Confederazione nel 1861 (poi sostituita da Richmond, Virginia). Sede di una delle più famose azioni del primo movimento per i diritti civili, quando nel 1955 Rosa Parks fu arrestata per essersi rifiutata di cedere il suo posto a un bianco su un autobus pubblico; nei mesi successivi la comunità nera promosse un leggendario boicottaggio dei trasporti pubblici della città, destinato a fare scuola e ad accelerare la campagna per la desegregazione. Teatro di alcune delle terribili violenze subite nel 1961 dai Freedom Riders, i giovani attivisti che cercarono di sfidare la segregazione viaggiando sui bus interstatali del Sud e che alla stazione di Montgomery furono brutalmente attaccati sotto l’occhio passivo e benevolo della polizia locale. Punto di arrivo delle celebri marce – da Selma a Montgomery ‒ del marzo 1965, che King guidò e che precedettero l’approvazione del Voting Rights Act, la legge federale che garantiva il diritto di voto agli afroamericani del Sud.

La valenza iconica di Montgomery per la storia americana non può in alcun modo essere sottostimata. In tempi recenti, quel passato è riaffiorato con forza. Nel 2013, in una fase in cui le tensioni razziali tornavano a lacerare gli Stati Uniti, le denunce delle violenze delle forze dell’ordine si facevano più frequenti e il movimento Black Lives Matter cominciava ad attivarsi, la polizia locale diffuse un comunicato ufficiale di scuse per la mancata protezione dei Freedom Riders nel 1961. Pochi anni più tardi, nel 2018, nascevano a Montgomery il Legacy Museum e il National Memorial for Peace and Justice: esposizione permanente e memoriale dedicati alla storia degli afroamericani e alle violenze che essi hanno subito, “dalla schiavitù all’incarcerazione di massa” degli ultimi decenni, come afferma il nome completo del museo (Legacy Museum: from Enslavement to Mass Incarceration).

Eppure Montgomery un sindaco nero prima di Reed non lo aveva avuto. A dispetto di una popolazione afroamericana che supera oggi il 60%, era una delle poche, pochissime città del Sud profondo a non averne mai eletto uno: l’unica sopra i 100.000 abitanti assieme a Columbus, Georgia e North Charleston, South Carolina. Le divisioni dentro la comunità nera hanno pesato, così come la capacità di una parte dell’establishment bianco di riorganizzarsi, talora secondo linee formalmente apartitiche, ma fortemente conservatrici. Paradigmatica, in tal senso, è stata la figura di uno dei predecessori di Reed, Bobby Bright, sindaco senza affiliazione partitica dal 1999 al 2009, eletto al Congresso con i democratici nel 2008, tra i pochi nel suo partito che nel 2009-10 votarono contro lo stimulus e la riforma sanitaria di Obama, e che – sconfitto nel 2011 – si è ricandidato senza successo al Congresso, questa volta con i repubblicani, l’anno scorso.

E allora cosa ci dice questo voto e perché sta suscitando così tanto interesse? Due aspetti vanno sottolineati. Il primo è che vi è stato un eccessivo allarmismo in merito all’apparente diminuzione del numero di sindaci afroamericani, che alcuni commentatori interpretarono come indicativa di un più generale indebolimento del mondo politico afroamericano dentro il Partito democratico. Agiscono probabilmente l’onda lunga delle vittorie di Obama, l’attivismo di tanti gruppi e associazioni afroamericani, la reazione a Trump, al suprematismo bianco e alle violenze degli ultimi anni. Ma a tutti i livelli torniamo a vedere un protagonismo politico nero, dalle primarie democratiche con candidati di peso, come il senatore del New Jersey Cory Booker e la senatrice della California Kamala Harris, a un Congresso con il più alto numero di membri afroamericani di sempre (58) a città e Stati che eleggono uomini e donne neri come mai prima di oggi. L’aprile scorso Chicago ha scelto per la prima volta un’afroamericana – Lori Lightfoot – come sindaco. Pochi mesi prima il Massachusetts aveva rotto un suo tabù, eleggendo la sua prima rappresentante nera, Ayanna Pressley. Alcune delle più importanti città statunitensi – oltre a Chicago anche Houston, Dallas, San Francisco, New Orleans, Baltimora, Washington, Atlanta – sono oggi guidate da sindaci neri (tra i quali una percentuale crescente di donne). Montgomery s’inserisce in una certa misura entro questa traiettoria, che pare estendersi anche a pezzi di Sud che ne erano rimasti immuni. Contestualmente al voto di Montgomery vi è stato quello in un’altra cittadina dello Stato, Talladega, che ha anch’essa eletto il primo sindaco nero della sua storia, il ventinovenne Timothy Ragland.

E questo ci porta al secondo elemento che merita di essere sottolineato. Quello cui stiamo assistendo, e che è in corso ormai da tempo, è un evidente, e inevitabile, passaggio di testimone da una generazione all’altra (e, in termini di rappresentanza politica, è anche la fine di un chiaro predominio maschile: il numero di rappresentanti afroamericane e di colore elette al Congresso nel 2018 è ad esempio il più alto di sempre). Permane, e anzi viene evocato e celebrato, il movimento per i diritti civili come ovvio momento fondativo: come modello e punto di riferimento; come palestra dove si forma un ceto politico destinato a diventare assai influente, a livello locale e federale; e come passaggio legittimante per chi intraprende una carriera politica. Ma le biografie dei due neoeletti sindaci di Montgomery e Talladega sono per molti aspetti invece convenzionali ovvero convenzionale è il loro percorso di formazione/legittimazione: Law School per Ragland e Master in Business Administration per Reed; attivismo dentro un Partito democratico nel quale il peso dell’elettorato afroamericano è andato costantemente crescendo; sostanziale lontananza dal tradizionale associazionismo nero. E allora l’elezione di Reed diviene non tanto – o non primariamente – compimento di un percorso che, a Montgomery, non si era ancora completato, quanto, piuttosto, segnale di una trasformazione degli equilibri dentro un Partito democratico dove giovani, donne e minoranze contano sempre di più (e votano sempre di più democratico), come abbiamo peraltro visto bene anche alle elezioni di midterm del 2018.