Le cronache milanesi di questi giorni somigliano a una torta a tre strati. O meglio, a un palazzo a tre piani. C’è la giustizia, c’è la società, c’è la politica. Sulla giustizia sarà doveroso attendere l’esito delle cose. Magari evitando gli eccessi delle opposte tifoserie, che vedono in ogni gesto della magistratura, di volta in volta, o la salvezza morale del Paese o la condanna pregiudiziale della politica.
Un modello a doppia velocità
Sulla società, e cioè sul modello di città, ci sarebbe da dire qualcosa in più. La scommessa della Milano che conta era rivolta a un’élite cosmopolita la cui presenza è considerata vitale per lo sviluppo della metropoli. In parte, questa scommessa è sembrata giusta. Ma il prezzo che sta comportando è la progressiva scomparsa del ceto medio. Come a voler dividere la città tra una parte che ha successo e fa fortuna (ed è bene che la faccia) e un’altra parte che sopravvive ai suoi margini (e sarebbe bene che godesse di qualche opportunità in più).
Si ripete il paradosso della Prima Repubblica
È un modello che di questi tempi va per la maggiore, non solo all’ombra del Duomo. Ma è un modello che denuncia più di una criticità – e non solo in termini di giustizia sociale.
Sulla politica, infine, si ripete il paradosso della Prima Repubblica. Che sceglieva la gran parte dei suoi leader al di sotto della linea gotica, come a dividere in due la geografia del palazzo. A sud i maestri del consenso, al nord i campioni dell’economia. Con una eccezione, quella di Bettino Craxi.
Ora, è piuttosto ovvio che una capitale “morale” del Paese che appare priva di buoni condottieri politici difficilmente vada lontano. E infatti parte della crisi sta proprio qui.
Fonte: La Voce del Popolo – 24 luglio 2025
[Articolo qui riproposto per gentile concessione dell’autore e del direttore del settimanale della Diocesi di Brescia]