Nelle scorse settimane abbiamo osservato l’uscita di numerose informazioni circa le difficoltà del settore automobilistico in Europa ed in particolar modo nei due Paesi principali per la manifattura del vecchio continente: Italia e Germania.
Nel nostro Parlamento, l’audizione in commissione Industria del CEO del gruppo Stellantis ha reso pubblica e manifesta le difficoltà di comunicazione esistenti tra sistema Paese ed ex gruppo Fiat. In particolare, il CEO si è rifiutato di lasciare agli atti del Parlamento i documenti presentati durante l’audizione, un brutto segnale di scarsa trasparenza.
Anche oggi, dopo quell’intervento parlamentare, il futuro del gruppo Stellantis in Italia appare nebuloso e poco chiaro. In Germania, invece, il sindacato che fa parte del consiglio di fabbrica del gruppo Volkswagen ha lanciato l’allarme sulle possibili chiusure di alcuni impianti tedeschi e sulla possibile riduzione dello stipendio dei dipendenti.
L’allerta pubblica ha messo in moto un meccanismo grazie al quale ora, sindacato e dirigenza, stanno provando a trovare un accordo in grado di evitare la chiusura degli impianti e i numerosi licenziamenti. Molto probabilmente il nuovo accordo prevederà comunque dei sacrifici di breve periodo per gli operai tedeschi; tuttavia, garantirà, almeno per il momento, il loro posto di lavoro, permettendoli di scommettere sul rilancio dell’azienda.
Questo percorso, con le ovvie difficoltà del caso, si è potuto realizzare grazie alla presenza di rappresentanti dei lavoratori nei vari consigli amministrativi del gruppo tedesco. La loro presenza ha permesso di conoscere la realtà e i difficili numeri del gruppo, i rischi per i lavoratori e ha responsabilizzato i sindacati stessi nel cercare soluzioni alternative alla perdita di posti di lavoro.
L’esperienza tedesca ci insegna quindi che, più della presenza dello Stato nell’azionariato di una compagnia, più degli incentivi commerciali dati a pioggia che drogano il mercato, per tutelare i lavoratori serve una loro rappresentanza nei consigli direttivi delle grandi società.
Questa è una battaglia storica che gli esponenti cattolici hanno sempre portato avanti ma con scarso successo. Sarebbe un ottimo punto da mettere in agenda per chi in politica si professa centrista. Sarebbe poi ancora meglio se, come per il salario minimo, divenisse una battaglia comune di tutte le opposizioni. Per spingere questa proposta, ci vorrebbe anche una maggiore impegno per portare avanti questa istanza da parte di tutti i sindacati (non solo alcuni).