La “società liquida” teorizzata da Zygmunt Bauman descrive con straordinaria lucidità il passaggio da un’epoca di certezze stabili – la modernità “solida” – a una fase storica dominata dal cambiamento, dalla precarietà e dall’instabilità delle relazioni sociali.
La globalizzazione ha accelerato questa trasformazione, rendendo la vita sempre più incerta: il lavoro è diventato precario, i legami comunitari si sono indeboliti e gli individui si sentono soli di fronte a sfide globali sempre più complesse. Allo stesso tempo, le istituzioni politiche, e in particolare lo Stato-nazione, non riescono più a garantire la sicurezza che un tempo promettevano.
La paura dell’altro come riflesso dell’insicurezza
In questo scenario Bauman colloca la sua riflessione sul fenomeno migratorio. La figura del migrante diventa spesso il capro espiatorio di un disagio collettivo più profondo.
Lo straniero viene percepito come un corpo estraneo, una minaccia all’ordine sociale e alla “purezza” della comunità. Nei discorsi pubblici e politici, la migrazione di massa diventa così il simbolo di un mondo in disordine e fuori controllo.
Ma, ammonisce Bauman, le migrazioni non sono un’emergenza passeggera: rappresentano un fenomeno strutturale del nostro tempo. Le risposte politiche basate sulla paura – dai muri ai respingimenti – offrono solo un’illusione di sicurezza e rischiano di compromettere i principi democratici su cui si fondano le nostre società.
L’ombra di “Jim Crow”
Con l’ascesa di Donald Trump negli Stati Uniti, queste politiche di chiusura hanno trovato nuova linfa, riportando alla memoria una pagina buia della storia americana: le leggi “Jim Crow”.
Nate tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento, esse istituzionalizzarono la segregazione razziale, negando ai cittadini afroamericani i più elementari diritti civili. Solo le battaglie per i diritti civili degli anni ’60 portarono alla loro abolizione, con l’approvazione del Civil Rights Act del 1964 e del Voting RightsAct del 1965.
Oggi, “Jim Crow” è tornato sotto nuove forme: non più contro i neri d’America, ma contro chiunque porti lo stigma del migrante o del rifugiato. È il nuovo volto di una paura che divide, esclude e giustifica la restrizione dei diritti in nome della sicurezza.
Una prospettiva da cambiare
La vera sfida, per Bauman, è ribaltare la prospettiva: passare dalla paura alla comprensione, dalla chiusura al dialogo.
Serve un approccio globale, fondato sulla cooperazione internazionale e sulla consapevolezza delle cause profonde delle migrazioni, spesso legate anche alle politiche di destabilizzazione dei Paesi occidentali.
Difendere la democrazia, oggi, significa non cedere alla tentazione di smantellare diritti e libertà in nome della protezione.
Il rischio politico della “copia”
Se i partiti progressisti non sapranno farsi portavoce di un cambiamento reale, sociale e culturale, la battaglia sarà persa in partenza. Continuando a inseguire la retorica della sicurezza, finiranno per apparire come una pallida imitazione dei movimenti nazionalisti e populisti. Di fronte alla copia, gli elettori sceglieranno sempre l’originale.

