Dalla nazionalizzazione dell’energia elettrica al caos del mercato libero

Ripensando alla nazionalizzazione di fanfaniana memoria, viene da credere che se fosse stata accompagnata da uno Stato serio e vicino ai cittadini e da una classe politica credibile e capace, forse avrebbe funzionato.

Il quarto governo guidato da Amintore Fanfani depositando il 26 giugno 1962 il disegno di legge n. 3906, intitolato “Istituzione dell’Ente per l’energia elettrica e trasferimento ad esso delle imprese esercenti le industrie elettriche”, intendeva assumere un provvedimento che garantisse una gestione equa, omogenea, controllata della produzione e distribuzione dell’energia elettrica nell’ottica della sua nazionalizzazione. La legge istitutiva fu approvata il 6 dicembre 1962. Fanfani era un politico di rango, un cavallo di razza, il cui pregio principale consisteva in una visione lungimirante e pragmatica del governo del Paese e della sua crescita tumultuosa in epoca di boom economico, capace di una esposizione sintetica del proprio pensiero, caratterizzata da un eloquio fluente e convincente, che anteponeva gli aggettivi ai sostantivi. Il contrario di quello che Andreotti mi raccontò molti anni dopo parlandomi della Thatcher, che di aggettivi non ne usava proprio, andando subito al sodo. 

Sul piano strettamente politico la nazionalizzazione dell’energia elettrica (con l’istituzione dell’ENEL), ma anche il concomitante “piano casa” (più esattamente INA CASA) tendente e realizzare una estesa progettualità residenziale sull’intero territorio nazionale (ideato da Fanfani tra il 1949 e il 1963 come Ministro del Lavoro), rappresentava un’apertura al nascente centro-sinistra (il primo Governo a guida Moro nacque il 4 dicembre 1963) e il particolare al Partito Socialista. Ma era anche una scelta per il futuro, tra gestione nazionalizzata e liberalizzazione affidata al mercato, una sintesi tra una visione keynesiana dell’economia in un contesto capitalistico e la dottrina sociale della Chiesa basata sul welfare, sull’equità distributiva e sulla solidarietà. 

In un fazzoletto temporale di pochi anni si disegnava un modello di sviluppo sociale caratterizzato dal controllo dello Stato e poi stemperato dal decentramento autarchico attraverso l’istituzione delle Regioni. Questa deriva pilotata dal libero mercato e dal prevalere di interessi economici di parte, ma anche da quella sorta di autopropulsione sociale (come la definisce Giuseppe De Rita) verso il cambiamento e con esso – auspicabilmente – il progresso ha via via radicalmente vanificato quelle idee di grande visione, e ciò sostanzialmente per due motivi: il progressivo venir meno della stabilità politica e il declino culturale e rappresentativo della sua classe dirigente da un lato, e il moltiplicarsi e differenziarsi di domanda e offerta da parte del mercato, ciò che ha portato ad una polverizzazione istituzionale e dei servizi resi all’utenza, dall’altro. 

Si aggiunga l’enfasi burocratica che ha accompagnato lo sviluppo, rendendo sempre più complicata la vita sociale. Non va sottaciuto che la deriva della transizione digitale non sembra semplificare le cose. Sul piano planetario, in estrema sintesi, tutto ciò può essere riassunto in quattro marcate tendenze: la globalizzazione, l’omologazione, la disintermediazione sociale e la parcellizzazione della realtà sino alla sua scomposizione e miniaturizzazione. 

Qualcuno osserverà che c’è troppa sociologia in questa sommaria descrizione: troppo per entrare nel merito del guazzabuglio che riguarderà il libero mercato dell’energia elettrica, troppi ingiustificati timori per riassumere il cambiamento di una semplice bolletta della luce. Eppure in questo periodo siamo stati tutti bombardati da offerte telefoniche attraverso non identificabili nuovi gestori che si affacciano sulla piazza dell’energia. Mercato libero, mercato tutelato, guarentigie per i soggetti deboli, i poveri (ormai sono una categoria sociale mica tanto sommersa) con un ISEE da fame, ma se chiami un call center o chiedi spiegazioni a chi ti risponde (e di te sa tutto ma non dice niente di sé) ottieni una serie di risposte diverse, contraddittorie e poco rassicuranti. La ‘scelta’ di un’opzione è scaduta il 30 giugno, ma qualcuno risponde che ci saranno proroghe e ulteriori offerte. Questa tumultuosa cavalcata verso il libero mercato, la gamma infinita ed esponenzialmente crescente dei gestori, le informazioni ansiogene e mai rassicuranti hanno le sembianze di una “stretta finale” con informazioni dell’ultima ora. E meno male che stampa e TV si affrettano a rassicurare: la luce non verrà “tagliata”. 

Troppo poco per aprire le porte e la mente verso l’autonomia differenziata, troppo poco per costruire un “modello U.E”, troppo poco per ricevere garanzie sul futuro. Il jolly della partita è nelle mani dei gestori (spuntano come funghi in contesti aziendali disparati che nulla hanno a che fare con la produzione di energia elettrica) e ai cittadini resta solo l’impressione di una confusione creata ad arte. Abituarsi ai continui cambiamenti comporta una capacità di comprensione e adattamento che non tutti hanno. Ripenso dunque alla nazionalizzazione di fanfaniana memoria e immagino che se fosse stata accompagnata da uno Stato serio e vicino ai cittadini e da una classe politica credibile e capace, forse avrebbe funzionato. Quello era un modello di semplificazione, la realtà che ci attende è invece densa di incognite e di poco rassicuranti cangianze.