Roma, 17 lug. (askanews) – “L’intervista rilasciata dal sottosegretario Alessio Butti sulle pagine de La Repubblica è l’ennesima dimostrazione che in Italia si continua a parlare d’infanzia e tecnologia senza avere il coraggio di fare ciò che davvero serve: porre limiti d’età chiari e vincolanti”. Lo ha dichiarato Daniele Novara, pedagogista e promotore della petizione “Stop a smartphone e social sotto i 14 e 16 anni”, che ha già raccolto oltre 100mila adesioni tra esperti, genitori, educatori e professionisti della salute, commentando l’intervista fatta ad Alessio Butti sull’It Wallet, mentre il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega all’innovazione tecnologica si è detto favorevole alla verifica dell’età per l’accesso a portali per maggiorenni, ma non a “divieti generalizzati dell’uso di smartphone” per i minori.
“Mentre altri Paesi europei ed extraeuropei si stanno attrezzando con leggi serie per difendere bambini e adolescenti dall’esposizione precoce al digitale, l’Italia resta il fanalino di coda: uno zero cosmico in termini di regolamentazione. E oggi Butti ci propone una soluzione debole, parziale, che lascia intatti i privilegi delle grandi piattaforme e delle aziende tecnologiche – prosegue Novara, sottolineando – Non è più il tempo di cercare scorciatoie o toppe che peggiorano la situazione: serve una normativa nazionale che impedisca l’accesso ai social prima dei 16 anni e regolamenti l’uso dello smartphone prima dei 14. Lo richiede praticamente tutta la comunità pedagogica e scientifica”.
“Il punto non è essere contro la tecnologia – precisa ancora Novara – ma riconoscere che a certe età servono barriere chiare. Senza regole, le famiglie vengono lasciate sole e le pressioni commerciali delle Big Tech prevalgono sull’interesse educativo e sulla salute dei più giovani”.
“Al Governo chiedo, insieme alle persone che hanno firmato l’appello, serietà e non scorciatoie. Valditara ha messo in campo una proposta minima e che è già consuetudine in quasi ogni altro Paese d’Europa. Butti, invece, sembra preoccuparsi più di non disturbare il business delle piattaforme che di tutelare i nostri figli e le nostre figlie. Basta ipocrisie. Lo Stato deve assumersi le sue responsabilità, non scaricarle sulle famiglie”, conclude il pedagogista.