Il Consiglio nazionale dell’Udc, riunito a Roma l’11 luglio presso il Crowne Plaza, ha eletto per acclamazione Antonio De Poli nuovo Segretario nazionale del partito. A proporre la sua nomina è stato lo stesso Lorenzo Cesa, segretario uscente, salutato da un lungo applauso per l’impegno profuso negli anni difficili del post-berlusconismo e dell’irrilevanza parlamentare. “Lorenzo è stato il custode della nostra storia e dei nostri valori”, ha dichiarato De Poli, promettendo di raccoglierne l’eredità “con rispetto, entusiasmo e determinazione”.
“Leali ma non subalterni”
Nel suo intervento, De Poli ha voluto subito marcare una linea politica di apparente fermezza: “Siamo alleati leali, ma non subalterni. Non siamo la brutta copia di nessuno.” L’obiettivo dichiarato è quello di una “differenziazione costruttiva”, con tre possibili posizioni: sostegno quando si condividono le scelte del governo, proposta quando servono correttivi, smarcamento quando è necessario affermare la propria cultura politica. Il nuovo segretario ha parlato dell’Udc come della “coscienza del centrodestra”.
Un’espressione forte, che però resta sospesa nel vuoto se non si accompagna a una definizione precisa dell’identità culturale, programmatica e valoriale del partito. Che cosa distingue oggi l’Udc dai suoi alleati? Qual è il nucleo “centrista” – tanto più se ispirato, come pur labilmente si ricorda, alla tradizione democristiana – che ne giustifichi la pretesa di essere forza coerente e non subalterna?
Rilancio territoriale e obiettivo Regioni
Nel 2025 si voterà in cinque regioni strategiche, e De Poli ha annunciato che l’Udc intende esserci con “idee chiare e candidature autorevoli”. Forte del buon risultato ottenuto alle recenti amministrative in Puglia e Basilicata, il neosegretario ha promesso “determinazione” e “visione”, avviando un confronto con i referenti regionali, provinciali e comunali. Ma non basta esserci: occorre contare – nei programmi, nelle scelte, nelle persone.
Per rafforzare la presenza sul territorio, De Poli ha annunciato un grande tesseramento nazionale, il ritorno a settembre della Festa dell’Udc, la nomina di cinque vicesegretari territoriali e la creazione di un nuovo ufficio politico nazionale. “È finito il tempo della comfort zone”, ha detto. Ma senza un messaggio chiaro, nemmeno una macchina ben organizzata può invertire la tendenza all’irrilevanza.
Quale centro? Quale identità?
Il punto critico resta questo: l’Udc vuole essere una “gamba” del centrodestra, ma non indica il contenuto valoriale e politico di quella gamba. La cultura cattolico popolare risulta schiacciata sotto il peso del pragmatismo. Oggi il rischio è che l’Udc si limiti a una funzione di rappresentanza di sensibilità individuali, rispettabili ma incapaci di incidere davvero sulla rotta di una coalizione sbilanciata a destra.
Nel panorama politico attuale, parlare di centro richiede coraggio e contenuti. Altrimenti, la parola “coscienza” rischia di ridursi a retorica – e il centro a semplice punto d’appoggio per equilibri altrui.